Lampedusa piange. La preghiera del ministro per i migranti della Cei: basta, non chiamatela emergenza

L’ARCIVESCOVO: AIUTATECI SERVONO ALTRE BARE. MONTENEGRO SFERZA LE ISTITUZIONI. <ORA UNA CONFERENZA DEL MEDITERRANEO> Intervista pubblicata sul Qn  (Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione), edizione del 4 ottobre 2013 Giovanni Panettiere ROMA «ABBIAMO bisogno di bare, non sappiamo più dove sistemare i cadaveri». L’isola è troppo piccola, «non è attrezzata per una tragedia […]

L’ARCIVESCOVO: AIUTATECI SERVONO ALTRE BARE.

MONTENEGRO SFERZA LE ISTITUZIONI. <ORA UNA CONFERENZA DEL MEDITERRANEO>

Intervista pubblicata sul Qn  (Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione), edizione del 4 ottobre 2013

Giovanni Panettiere

ROMA

«ABBIAMO bisogno di bare, non sappiamo più dove sistemare i cadaveri». L’isola è troppo piccola, «non è attrezzata per una tragedia di così ampie proporzioni. Ma voi giornalisti non chiamatela emergenza». In sottofondo lo squillo del cellulare tronca la telefonata. «Mi scusi — si schermisce monsignor Francesco Montenegro (foto Imagoe.), ministro per l’immigrazione della Cei e arcivescovo di Agrigento, la diocesi di Lampedusa —, sono a Roma per un convegno. E sto cercando di capire dai miei collaboratori che cosa stia succedendo». In tv scorrono senza pietà le immagini dei sacchi verdi con i resti di chi non ce l’ha fatta. «Qui ho le mani legate, parto appena possibile», morde il freno Montenegro. Ottanta, ottantancinque, cento morti, duecento i dispersi. La conta non si arresta, gela il sangue e chiude la bocca dello stomaco.

Che cosa le ha raccontato il parroco di Lampedusa?

«Ci sono ancora bambini e donne in mezzo al mare che devono essere tratte in salvo. Poi i morti: non se ne può più di questa conta».

Eppure per lei non è un’emergenza.

«Se così fosse, basterebbe metterci una toppa, ma non è così. Prima o poi dovremo capire che la gente vuole vivere e per questo scappa e scapperà sempre dalla fame e dalla guerra».

Il presidente della Repubblica considera «indispensabili presidi adeguati lungo le coste dalle quali partono questi viaggi di disperazione». Condivide?

«Ha ragione, ma è lo Stato che deve cooperare con la Libia e la Tunisia. Questo ormai non avviene più».

Come se ne esce?

«Serve una nuova Conferenza del Mediterraneo, sul modello di quella voluta negli anni ‘50 da Giorgio La Pira per il Medio Oriente, che affronti il rafforzamento di navi e strumenti di monitoraggio del Mediterraneo, concordandolo con tutti i Paesi costieri».

Il Papa ha parlato di «vergogna» e «tragedia inumana».

«Mi ha chiamato il suo segretario. So che il cuore del Pontefice piange. Non posso dimenticare la sua profonda sofferenza, quando è venuto in visita a Lampedusa. Provo anche io vergogna per l’indifferenza delle istituzioni».

State mettendo a disposizione anche i locali della parrocchia per assistere i superstiti?

«Sì, e non c’è nulla da meravigliarsi. Lo facciamo sempre in casi come questi».

Quanti sono gli operatori della Caritas sul posto?

«Non abbiamo un tesseramento. Ogni cristiano è Caritas e, per fortuna, la Sicilia è piena di brava gente».

Certo, tuttavia alcuni pescherecci avrebbero ignorato il barcone in avaria.

«Se così fosse, si mostrerebbe la distanza dei nostri cuori rispetto a certi drammi. Con questo non voglio giudicare i pescatori».

Perché?

«La gente, alle volte, ha paura a prestare aiuto. Abbiamo un sistema sull’immigrazione che favorisce queste morti. È brutto da dire, ma è la verità».

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