(Umberto Bossi e Roberto Maroni a Milano)

CHE IL COMIZIO milanese fosse iniziato in ritardo non se ne era accorto nessuno. Forse nemmeno gli stessi leghisti in piazza Duomo. Troppe le divisioni interne nel Carroccio per dare un’occhiata all’orologio. Ma Umberto Bossi si sa è un leader schietto e viscerale che ieri mattina ha voluto chiarire al suo popolo il retroscena dei tempi lunghi. Costruendo ad arte la mano giusta per giocare l’asso nella manica. <Avete notato che abbiamo iniziato in ritardo – ha detto  il Senatur -. Lo abbiamo fatto perché celebrava messa in duomo un nostro amico che è arcivescovo di Milano ed è stato patriarca di Venezia. Uno nato a Lecco che  il papa nella sua saggezza ha mandato qua. Uno dei nostri: il cardinale Angelo Scola>. Poche parole, sbiascicate a stento, rotte da un tripudio di applausi dopo la marea di fischi all’indirizzo del Cerchio magico. Quello che ‘se sei davvero magico, sparisci’, come si leggeva su uno dei cartelli in piazza.

Sarà anche acciaccato Bossi, avrà perso il contatto  con la base, ormai schierata dalla parte dell’ex delfino, Roberto Maroni, ma il vecchio leader non dimentica le regole della propaganda. Con il suo passaggio finale il Senatur è riuscito, almeno per un attimo, a fare breccia nei cuori di quei cattolici che guardano all’arcivescovo di Milano come una manna dopo gli anni del duo Carlo Maria Martini-Dionigi Tettamanzi. Mai come ora alla Lega, in corsa solitaria dopo il divorzio con il Pdl e in balia delle divisioni, servono i voti dei devoti dell’acqua del Po e della Madunnina. E’ la base ruspante che il Carroccio deve blandire per ritrovare l’unità. Sono i credenti del ‘Tettamanzi comunista’, etichetta respinta a più riprese dal cardinale sensibile alla causa dei migranti. Chissà se anche Scola rispedirà al mittente ‘la tessera padana’. Per ora l’ex patriarca preferisce restare in silenzio.

Giovanni Panettiere