Endulen, 3 ottobre 2012

A PRIMA vista si è come catapultati indietro nel tempo. Le case di fango, sterco e bambù, la promiscuità tra persone e animali evocano la preistoria, quella studiata sui banchi di scuola, con scarso interesse, perché priva di battaglie e orfana di condottieri dai nomi epici. La sensazione raggela la carne. Un attimo da brivido, ma è come se non finisse mai. Solo quando l’occhio scivola sull’orologio si ritorna nel 2012. Nel presente, nel nuovo millennio. La paura svanisce e un’incontenibile curiosità di muoversi tra le maglie dell’ignoto prende il sopravvento.

Siamo a qualche chilometro dal cratere di Ngorongoro davanti alle palafitte che segnano l’ingresso a Endulen, uno dei più remoti insediamenti masaai negli altipiani della Tanzania settentrionale. Mamussi ha voglia di raccontare. Mastica un inglese scolastico, ideale per l’interlocutore che ancora inciampa nella sintassi della terra di Albione, nonostante gli anni e i soldi spesi per farsi largo tra present perfect e past simple. Parla a ruota libera della famiglia, dei risparmi per accedere alla scuola secondaria, del suo sogno di volare in Europa, non sa bene dove. Conosce l’Italia, più per il calcio che altro. Snocciola a mena dito i nomi dei giocatori del Milan: Abbiati, Pato, Zambrotta. E non c’e verso di farlo diventare nero azzurro. Veste una stola rossa, portata con eleganza su un fisico asciutto, non troppo slanciato. Al cinturone una lama tradisce la sua identità guerriera. É lui, Mamussi, ventenne ufficiale masaai, il nostro Virgilio all’interno di una tribù per certi versi ancora da decifrare.

Alice, invece, tiene la bocca cucita. Biascica solo qualche parola per lo più in swahili. Sembra marcare le distanze dai barbari venuti da oltre mare. Ci scruta dall’alto del suo metro e novanta, accarezzando la lunga lancia che usa per terrorizzare i bufali, gli elefanti e i leoni nei paraggi. Ha buchi enormi nei lobi delle orecchie. Avevo visto qualcosa di simile in televisione, ma dal vivo la voragine è davvero impressionante. Sconvolgente. Provo a distogliere lo sguardo, senza successo. Alice se ne accorge e si fa torvo in volto. Capisco di infastidirlo, abbasso il capo, solo allora si scioglie in un sorriso.

Scortati dai due soldati, abbiamo trafitto a piedi la giungla per quattro chilometri fino a Enduleni. Alice sempre un passo indietro il suo comandante, mia moglie zaino in spalla, io con il fiato corto già dopo qualche metro. Il saliscendi continuo, lungo un sentiero impervio costeggiato di mangrovie, ha messo a nudo i chili di troppo. In quella mezz’ora di cammino a passo sostenuto ho maledetto la mia pigrizia. Ho rivisto la bici da corsa abbandonata in terrazza, con le ruote sgonfie. Di colpo mi sono sentito vecchio, appesantito. Eppure non sono mai stato così vivo. Non c’era niente attorno a noi. Solo i nostri respiri e le ombre in lontananza di qualche animale ancora libero.

Giovanni Panettiere

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