(Il vescovo emerito di Ivrea, Luigi Bettazzi)

QUANDO partecipò al Concilio ecumenico Vaticano II, era uno dei vescovi più giovani in San Pietro. A distanza di cinquant’anni monsignor Luigi Bettazzi, classe 1923, è tra gli ultimi padri conciliari ancora in vita. In Italia, oltre al vescovo emerito di Ivrea, resiste solo l’amico Giovanni Franzoni, 83 anni, già abate della basilica di San Paolo a Roma. Scherzo della sorte, entrambi sono rappresentanti di quella maggioranza progressista, che durante l’assemblea ebbe la meglio sull’ala curiale, nonostante i numerosi compromessi raggiunti in Concilio. Vescovo e laico – nel senso di chi, senza rinunciare all’aspetto soprannaturale, prescinde da questo per poter interloquire con ogni uomo -, Bettazzi è la memoria in carne ed ossa del Vaticano II. Nei suoi ricordi rispuntano le ombre dei cardinali Giacomo Lercaro e Léon Joseph Suenens, due giganti di una stagione irripetibile. Con entusiasmo ed emozione, Bettazzi continua a raccontare il Concilio alle nuove generazioni, i veri destinatari di un tesoro ancora da scoprire nella sua interezza. Tanto che, a chi gli propone un Vaticano III, Bettazzi risponde con la schiettezza di sempre: <Meglio di no, rischieremmo di tornare indietro. Attuiamo, invece, il Concilio>.

Quest’anno ricorre il mezzo secolo dall’apertura del Vaticano II. Che ricordo ha di quell’esperienza?

<Ho partecipato a tre sessioni su quattro come vescovo ausiliare del cardinale Giacomo Lercaro che era stato appena nominato tra i quattro moderatori incaricati di gestire le assemblee e come segretario aveva don Giuseppe Dossetti. Ho ‘visto’ la Chiesa cattolica, cioè universale, nel volto dei vescovi venuti da ogni parte del mondo, ho colto la molteplicità delle mentalità, tutte convergenti verso il Vangelo e il Regno di Dio. Ho partecipato alla maturazione dei pastori, giunti alla fine a determinare e votare documenti e orientamenti che all’inizio forse non avevano così chiari e convincenti>.

In che condizione era la comunità ecclesiale prima del Vaticano II?

<La Chiesa costituiva un blocco assai coeso sotto la guida dei vescovi e, almeno in Occidente, era chiusa in difesa del grande nemico: il comunismo. Quindi si affidava a tutto ciò che si dichiarava anticomunista, penso al favore dato alle dittature, europee o latinoamericane>.

Con il Concilio che cosa è cambiato nella Chiesa?

<Dal Vaticano II è uscita una comunità attenta ai valori, dalla libertà alla solidarietà, e tesa a riconoscerli e a incoraggiarli dove sono. Ma anche una Chiesa attenta a discernere quanto di troppo chiuso o egoistico può rovinare gli ideali più elevati, da parte dei singoli come dei popoli>.

Sedici documenti: qual’è il più rappresentativo del Vaticano II?

<Sono molti i testi significativi. Ricordiamo la costituzione Dei Verbum, che rilancia il valore personale della fede, il decreto Unitatis redintegratio, che apre al dialogo ecumenico con i cristiani non cattolici, e soprattutto l’inattesa costituzione pastorale Gaudium et spes, che ci fa guardare al mondo non come a una realtà da condannare, ma come un’umanità con cui camminare verso il regno di Dio>.

Chi sono stati i suoi maestri durante le sessioni conciliari?

<In qualità di ausiliare a Bologna del cardinale Lercaro ho avuto l’opportunità di contattare gli altri moderatori, specialmente i cardinali Léon Joseph Suenens e Julius Dopfner. Don Giusepe Dossetti e i suoi collaboratori (in particolare, il prof Giuseppe Alberigo), invece, mi aiutavano a cogliere gli aspetti più significativi delle discussioni>.

Lei prese parte anche al gruppo informale di quei vescovi sensibili al tema della ‘Chiesa dei poveri’.

<Sì certo, in quell’occasione conobbi il brasiliano dom Helder Camara. Durante il Concilio costituimmo anche un gruppo di vescovi orientato alla spiritualità di padre Charles De Foucauld, ispiratore dei Piccoli fratelli: ci sentivamo come la fraternità dei piccoli monsignoriuali!>.

Durante il Vaticano II tematiche come il controllo delle nascite e il celibato dei preti furono sottratte da papa Paolo VI al confronto tra i padri. A posteriori, vescovo Bettazzi, fu un errore?

<Probabilmente il papa temeva che gli echi di un dibattito mondiale influenzassero i vescovi aldilà della serena riflessione sulla Parola di Dio e sulla delicatezza delle decisioni>.

Nella ricezione del Concilio si scontrano due ermeneutiche: quella della continuità, promossa dal papa Benedetto XVI, e quella della rottura, avanzata dalla Scuola di Bologna. Da protagonista di quell’evento, quale è la sua opinione?

<La scelta fatta da Giovanni XXIII di un concilio non ‘dogmatico’, ma ‘pastorale’ può portare a concludere che, se c’è stata continuità dogmatica (nessun nuovo dogma e nessuna condanna, salvo quella della guerra ‘totale’, cioè atomica, biologica, chimica), c’è stata però una discontinuità pastorale: basti pensare alla Bibbia,  prima riservata a clero e agli studiosi oggi data in mano a tutti, o alla liturgia, prima misteriosa oggi partecipata, o all’ecumenismo, prima diffidato oggi incoraggiato, per riconoscere che si è avuta una qualche ‘rottura’>.

Secondo lei oggi è più urgente attuare il Vaticano II o pensare a un nuovo Concilio?

<Il Vaticano II è riuscito, perché arrivò di sorpresa e papa Giovanni lo affidò ai vescovi, come ribadì anche Paolo VI nominando i moderatori. Non vorrei – e qui confesso la mia poca fede – che un nuovo Concilio finisse col rimangiarsi alcune delle aperture del Vaticano II>.

Che consigli darebbe al papa per meglio attuare il Concilio?

<Non mi permetterei mai di dare consigli al Papa, salvo che fossi chiamato a far parte di un Sinodo. Al massimo…potrei suggerirgli di leggere quanto ho scritto sul Concilio, ad esempio nel libro recentissimo: Il Concilio, i giovani e il popolo di Dio‘>.

Quale è il suo giudizio sulla Chiesa odierna?

<La comunità ecclesiale, fatta di persone umane, è sempre stata – come diceva già Lutero – ‘casta e meretrice’. Forse è vero che fa più rumore un albero, che cade, piuttosto che una foresta che cresce: si sbandierano più facilmente le colpe dei cristiani (soprattutto dei preti e delle suore) e si vedono meno le tante cose buone che vengono compiute nella Chiesa e da parte dei cristiani>.

In Germania papa Ratzinger ha detto che stiamo vivendo una crisi di Dio, non una crisi della Chiesa. Concorda con questa lettura della storia?

<In un certo senso è vero, perché il moltiplicarsi delle comunicazioni estende le conoscenze ‘orizzontali’, ma impoverisce quelle ‘profonde’ che culminano nella religione e nella fede. Credo sia un rischio che tocca tutte le religioni>.

Dopo le ultime nomine cardinalizie tra i vaticanisti si è subito messo in moto il toto-papa: secondo lei il prossimo conclave sarà dominato dai curiali o i progressisti potranno giocare un ruolo nella successione?

<Pregherò lo Spirito Santo che…faccia Lui. Diceva il teologo Jacques Bossuet: ‘L’uomo si agita e Dio lo conduce’. A suo tempo scelsero un ‘papa di transizione’ e ne uscì Giovanni XXIII; non sapevanoina decidersi su quale italiano, e ne uscì Giovanni Paolo II. Mi fido dello Spirito Santo.!>.

Nella sua vita lei ha visto salire sul soglio pontificio diversi cardinali, a partire da Pio XII. Concorda con chi ne chiede la beatificazione?

<Concordo nella sostanza, forse non è opportuna la fretta>.

Che ricordo ha di Giovanni XXII e Paolo VI?

<Ho incontrato papa Giovanni solo come nunzio a Parigi e ricordo la sua erudizione e benevolenza. Paolo VI è il pontefice che mi ha fatto vescovo (anche se le trattative erano iniziate sotto Giovanni XIII) e che ho incontrato più volte, talora preoccupandolo per i miei interrogativi un po’ provocatori. Ma ho una grande stima, una grande riconoscenza, una grande venerazione per ambedue>.

Albino Luciani poteva essere un riformatore?

<Più che sul piano dottrinale, poteva esserlo su quello della riforma delle istituzioni, per la coerenza delle visuali fortemente ispirate al Vangelo>.

Ci sono ombre sulla morte del Papa del sorriso?

<L’ombra è il mistero sulla vera causa della sua morte, anche per il rifiuto dell’autopsia in base a una antica legge vaticana. Il vescovo di Padova monsignor Girolamo Bartolomeo Bortignon (che da vescovo di Belluno aveva proposto Luciani per l’episcopato) ebbe a dire che papa Giovanni Paolo I gli aveva confidato che stava chiedendo al Signore di chiamarlo a sé, perché non si sentiva all’altezza del compito. Non sappiamo di quali modalità si sia servito per accontentarlo>.

È ancora troppo presto per stilare un bilancio del pontificato di Wojtyla?

<Si può già iniziare sottolineando quanto sia stato determinante per la caduta pacifica del comunismo (lui che pure mi disse di essere convinto non sarebbe caduto se non con una guerra) e per la visibilità della Chiesa nel mondo. Penso, ad esempio, a due grandi intuizioni: l’incontro delle religioni ad Assisi e le Giornate mondiali della gioventù. Forse per il rinnovamento delle strutture ecclesiali era condizionato dalla visuale polacca che aveva contrastato il comunismo>.

Quella di Giovanni Paolo II è stata una beatificazione lampo?

<Evidentemente sì, anche per le richieste ben organizzate: ‘Santo subito’. Certamente si è trattato di un grande esempio di spiritualità e coerenza. Che poi possono esserci state delle ombre, anche nel suo governo e nelle influenze subite, queste nulla tolgono alla grandezza della sua testimonianza. Solo Gesù Cristo era l’uomo perfetto  (e certamente Maria come donna, anche se ne sappiamo molto poco…). I santi vanno venerati e imitati per quanto han vissuto di positivo>.

Che cosa resterà della stagione ratzingheriana?

<Senz’altro la sua fede in Gesù Cristo, che ha illustrato con i suoi scritti, e lo zelo per la purezza della Chiesa e del clero, avendo ad esempio aperto e incoraggiato la purificazione dalla pedofilia. Che prima si tendeva a nascondere o minimizzare. In più va ricordato quanto il papa insiste sul fatto che chi ha responsabilità nella Chiesa deve impegnarsi non per ambizione di carriera, ma per spirito di vero servizio>.

Giovanni Panettiere, Bologna, 27 marzo 2012