(Cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano)

NEL NOME  del Gius. Parte dal maestro la svolta di Angelo Scola nella Chiesa di Milano dopo il binomio Carlo Maria Martini-Dionigi Tettamanzi. Per mesi il cardinale ha cullato l’occasione giusta per lanciare un segnale forte di discontinuità e attuare il mandato ricevuto dal papa. Nominandolo sulla cattedra di Sant’Ambrogio, Ratzinger ha scommesso sull’ex patriarca di Venezia per affrontare senza indugi le piaghe del relativismo e della secolarizzazione. Ma soprattutto per ridare alla Chiesa un ruolo di primo piano nella vita sociale e politica meneghina. Scola conosce e condivide i desiderata del pontefice. Non può deluderlo. Sa bene che Benedetto XVI resta pur sempre il suo miglior sponsor in conclave, non potendo beneficiare dell’appoggio del segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e degli altri curiali nel sacro collegio. Certo, il dopo Ratzinger è ancora lontano, ma il vescovo di Roma viaggia sulle 85 primavere e la campagna elettorale per la sua successione è già entrata nel vivo. Dossier e veleni inclusi.

Sin da quando ha rimesso piede a Milano Scola ha lavorato sempre sotto traccia. Zero gesti eclatanti e basso profilo. Almeno fino a mercoledì. Solo allora il cardinale ha cambiato passo, compiendo un gesto che dà la misura del suo episcopato. A sette anni esatti dalla morte di don Luigi Giussani, in un duomo stracolmo per la messa di suffragio, è stato letto il comunicato della diocesi in cui si annuncia l’avvio del processo di beatificazione del fondatore di Comunione e liberazione. Ad avanzare la richiesta la stessa fraternità. Da tempo Cl aveva in serbo la domanda alla Curia, ma solo con l’arrivo del discepolo del Gius, l’incartamento è arrivato a destinazione, con Scola che, come prevedibile, ha dato semaforo verde alla pratica.

Mai sotto l’episcopato di Martini si sarebbe potuto immaginare la salita agli altari di Giussani. E non tanto per la diffidenza, a tratti esplosa in astio, di Cl nei confronti dell’emerito di Milano. Troppo distante la sete di ricerca di Martini dall’amore per la verità dell’ex docente del Berchet; così diversa l’apertura ai ‘lontani’ e l’umile accettazione di un ruolo di minoranza nella società per la Chiesa dalla sensibilità di chi, già negli anni ’50, denunciò la secolarizzazione e lottò per ridare alla cattolicità il primato culturale nel Paese. La scelta religiosa di Martini, l’impegno a tutto campo di Giussani: due giganti della Chiesa, due modi di vivere l’unico grande amore di Cristo.

Se la beatificazione del Gius dovesse andare a buon fine – dopo la fase diocesana la causa passerà alla congregazione dei santi – per Cl sarebbe un prezioso ritorno d’immagine. Specie all’interno della Chiesa, dove non mancano le diffidenze nei confronti della fraternità. Un po’ per la sua fede integrale, un po’ per i suoi rapporti politico-finanziari, soprattutto durante il ventennio berlusconiano. Cl sogna Giussani beato, Scola ci spera, avendo dato man forte all’operazione. Ma il vero ‘miracolo’ il cardinale l’ha già fatto. Da quando è sulla cattedra di Sant’Ambrogio Scola è riuscito a riportare in duomo e nelle parrocchie quei ciellini che alle classiche istituzioni ecclesiali preferivano le scuole di comunità, ai preti della parrocchia quelli della fraternità. Proprio come se Cl fosse una Chiesa parallela.  Con Scola vescovo anche loro si sentono a casa, in una Milano senza Martini e Tettamanzi. O, più semplicemente, normalizzata.                                                                                                                                                                                                                                                                                         

Giovanni Panettiere