Nascere, vivere, morire: il Mistero del Natale

Natale vuol dire nascere. Nascere vuol dire vivere. Vivere vuol dire gioire, essere felici. Vivere vuol dire soffrire, dolore. Vivere vuol dire morire. T.S. Eliot faceva raccontare ai suoi magi: «… ci trascinarono per tutta quella strada. Per una Nascita o per una Morte? Vi fu una Nascita, certo, ne avemmo prova e non avemmo […]

Natale vuol dire nascere. Nascere vuol dire vivere. Vivere vuol dire gioire, essere felici. Vivere vuol dire soffrire, dolore. Vivere vuol dire morire.

T.S. Eliot faceva raccontare ai suoi magi: «… ci trascinarono per tutta quella strada. Per una Nascita o per una Morte? Vi fu una Nascita, certo, ne avemmo prova e non avemmo dubbio. Avevo detto nascita e morte, ma le avevo pensate differenti; per noi questa Nascita fu come un’aspra ed amara sofferenza, come la Morte, la nostra morte. Tornammo ai nostri luoghi, ai nostri regni, ma ormai non più tranquilli, nelle antiche leggi, fra un popolo straniero che è rimasto aggrappato ai propri idoli. Io sarei lieto di un’altra morte».

Nascere, vivere, morire. Noi uomini siamo fatti così: cerchiamo di sfuggire a questi tre grandi misteri, che sono poi un unico e solo grande Mistero. Lo censuriamo, lo mettiamo da parte, vorremmo nasconderlo. E poi parliamo, straparliamo. Operazioni inutili. Lui prima o poi spunta fuori, enorme e non addomesticabile. Misterioso, appunto.

Conosco un solo modo per affrontare un mistero così: abbracciarlo, tutto. Però noi, mendicanti e poveracci, siamo capaci di abbracciare solo un qualcosa di concreto e Natale è una straordinaria opportunità perché è la cosa in assoluto più concreta che ci sia stata donata: l’incarnazione. Senza l’incarnazione non ce la potremmo fare. Noi abbracciamo un corpo. E un corpo, diceva un grande sacerdote, don Luigi Giussani, «non è un ostacolo, ma il modo della sua salvezza, la possibilità di un incontro. Chi avrebbe baciato Gesù Cristo se Giuda fosse stato un fantasma? Il nostro destino mortale è dentro questa nostra fisicità pregna di morte, così fragile e così bella».

Solo così si nasce, si vive, si muore. E allora sì che le parole assumono un significato, E allora sì che dire ‘la vita è sacra’ rappresenta qualcosa di grande, di immenso, di vero. Di sperimentabile quotidianamente. Un’opportunità, non un’imposizione. Perché diversamente un rischio c’è. Perchè altrimenti dire a una persona che non ce la fa più _ perché è malata, disabile, disperata, senza lavoro, senza più amore o banalmente annoiaia: ognuno ha un suo perchè _ dire a questa persona che ‘la vita è sacra’ rappresenta un’operazione dotta ma un po’ inutile. Questa persona continuerà a non farcela più. Ma se tu questa persona la abbracci così come sei, con quel coraggio che nasce dall’etimologia stessa del termine (‘cor’, cuore) allora forse qualcosa succede. Anche se non esiste un ‘protocollo’ medico o scientifico che disciplini l’argomento. Tutto può diventare degno, anche un corpo che si disfa, che si sta dissolvendo. E’ questa la grande dignità della vita. E’ questa la libertà. Due mesi fa, pochi giorni prima di morire, scriveva Gian Piero Steccato, un uomo di Piacenza che ha vissuto gli ultimi 13 anni della sua vita da locked in syndrome (totalmente paralizzato, muto, attaccato a un respiratore, cieco): «Anche se sono disabile, affermo che vivo una vita libera. Non mi muovo, non parlo, non vedo ma con l’aiuto di altre persone posso confrontarmi, andare a testa alta con dignità».

Gian Piero Steccato non era un eroe, ma un uomo che ha saputo abbracciare il Mistero, un testimone vivente di quell’inguaribile voglia di vivere che è un po’ dentro ogni nostro cuore. Lui, Gian Piero,  ci dimostra che possiamo farcela. Chiunque può farcela. Aiutiamoci, e il Natale ci aiuta.