Il film di Clooney: bello, sì, ma disumano

L’altra sera, su consiglio di un amico, sono andato a vedere ‘Paradiso amaro’, un film del 2011 interpretato da George Clooney. Un bel film.  Un film recensito con lusinghe da riviste cattoliche e, non a caso, la proiezione che io ho seguito era programmata in un cinema oratoriale. Premesso che il film è bello, devo […]

L’altra sera, su consiglio di un amico, sono andato a vedere ‘Paradiso amaro’, un film del 2011 interpretato da George Clooney. Un bel film.  Un film recensito con lusinghe da riviste cattoliche e, non a caso, la proiezione che io ho seguito era programmata in un cinema oratoriale.

Premesso che il film è bello, devo però confessarvi che sono rimasto devastato dal messaggio subliminale _ di normalità che non è normalità _ che viene trasmesso.

Mi spiego, raccontandovi in parte la trama: George Clooney è un riccone che vive alle Hawaii con moglie e due figlie. La moglie, purtroppo, rimane vittima di un incidente marittimo ed entra in coma. Dopo alcuni giorni un medico dice a Clooney che non c’è più nulla da fare, che sua moglie non si risveglierà più. E la donna aveva firmato un testamento biologico nel quale chiedeva di ‘staccare la spina’ nel caso fosse finita in quelle condizioni.

Ma dal film non nasce nessun dibattito sul testamento biologico, non emerge alcun giudizio ed è questo che mi sconvolge, perchè poi, in realtà, la pellicola è piena di scossoni, di colpi di scena, di litigi per un terreno, di corna e relazioni ezxtraconiugali scoperte a posteriori, di capacità di perdono (aspetto molto interessante), di scazzottate. Ma sulla cosa più drammatica, nulla. Cioè: diventa normalissimo, nel momento in cui il medico dice che non c’è più nulla da fare, staccare la spina e cominciare il saluto terreno della donna. Non c’è nessuno che si ribella, non c’è nessuno che sbatte la testa contro il muro, non c’è nessuno che dice ‘proviamo ad andare da un altro medico, non si sa mai’. Non c’è un marito, una figlia, un padre, un amico che prova magari a fare qualcosa di ‘irrazionale’ (e metto appositamente il termine ‘irraazionale’ fra virgolette) per cambiare il ‘protocollo’, il disegno costruito sulla teoria e non sulla carne.

Mi pare che ci sia qualcosa di tremendamente disumano in tutto ciò. E il fatto che un film così venga proiettato in una sala cinematografica di preti, la dice lunga su come le nostre anime, le nostre coscienze (ahimè: anche quella di alcuni sacerdoti) siano cloroformizzate da una cultura dominante e nichilista che fa diventare tutto uguale: un terreno come una donna in coma, un cornetto matrimoniale come la decisione di spegnere una vita.

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