Yara, il senso del ricordo

NON ci siamo mai associati al tiro al bersaglio che a più riprese si è scatenato contro chi indagava sull’omicidio di Yara Gambirasio. Neppure davanti agli errori più macroscopici, alle più evidenti manchevolezze delle indagini, ci siamo associati ai cori dei «crucifige». Non lo facciamo neppure ora, neppure oggi, giorno tristissimo del ricordo, a un […]

NON ci siamo mai associati al tiro al bersaglio che a più riprese si è scatenato contro chi indagava sull’omicidio di Yara Gambirasio. Neppure davanti agli errori più macroscopici, alle più evidenti manchevolezze delle indagini, ci siamo associati ai cori dei «crucifige». Non lo facciamo neppure ora, neppure oggi, giorno tristissimo del ricordo, a un anno da quando, per pura casualità, un campo incolto restituì quel corpo, fissato a icona di terrore, sofferenza, morte.

 UN ANNO dopo. Un anno per ritrovarsi con la stessa rabbia impotente, la stessa sete di giustizia provata allora, quel sabato nero, quando s’infranse anche l’ultimo baluardo della irrazionale ma tenace speranza che non potesse accadere. Nessuno ha mai sottaciuto le difficoltà di una indagine che si è avviata senza un simulacro di testimonianza, senza un brandello di pista che non fosse quella del cantiere di Mapello, indicata non dalla intelligenza investigativa ma dal fiuto canino. Tempo, attesa, fiducia, credito. Mai negati. Più volte confermati anche quando più era forte il desiderio di gridare «Trovate l’assassino di Yara». Ma nessuno deve pensare che sono state firmate cambiali in bianco. La contemplazione del dolore, il culto della memoria non devono bastare. Se un domani questo film terminasse nella dissolvenza. Se non si dovesse più parlare di cellulari intercettati, di dna raccolti a migliaia, di cani molecolari, di furgoni bianchi che attraversano i paesi della Bergamasca con il loro carico di piccole prigioniere, di cantieri e manovali. Se ognuna di queste immagini dovesse evaporare e non ne rimanesse che una, quella vista da pochi e immaginata da tutti, una bambina morta fra le sterpaglie, supina, le braccia aperte a croce, il corpo segnato dalle ferite. Se accadrà tutto questo, allora sì qualcuno ne dovrà rendere conto e spiegare, spiegare in pubblico, le ragioni di un fallimento.

gabriele.moroni@ilgiorno.net