Trigonometria, greco e filosofia: chi se ne importava? Volevo fare il giornalista

Quante ultime lettere ha scritto Jacopo Ortis? Troppe, prima di decidere, finalmente,  di piantarsi il pugnale nel cuore. Seno, coseno, tangente, unico enigma (molti anni dopo, con Mani Pulite, le snobbate tangenti si sarebbero prese una crudele rivincita costringendomi per ore su marciapiedi ghiacciati, facendomi comprendere per la prima volta il significato del termine “nemesi”). […]

Quante ultime lettere ha scritto Jacopo Ortis? Troppe, prima di decidere, finalmente,  di piantarsi il pugnale nel cuore. Seno, coseno, tangente, unico enigma (molti anni dopo, con Mani Pulite, le snobbate tangenti si sarebbero prese una crudele rivincita costringendomi per ore su marciapiedi ghiacciati, facendomi comprendere per la prima volta il significato del termine “nemesi”). E le monadi di Leibniz? “Che vadano in mona anche loro, con tutto il resto. Io voglio fare il giornalista”. A questo pensavo mentre la tardiva rincorsa sui testi scolastici e il trascorrere inesorabile dei giorni mi svelavano i baratri abissali, le falle da Caporetto sul fronte della mia preparazione per gli esami di maturità. Prova di italiano, agevole galoppata fra Romanticismo e Verismo. Il giorno dopo era in agguato la traduzione dal greco. Brano di tale Iperide. Chiarissimo il senso generale: la vera forza di una città non sta nella robustezza di mura e fortificazioni, bensì nella concordia fra i suoi abitanti. Arduo, improbo estrarlo da un ginepraio inestricabile di subordinate, perifrasi, anacoluti. Katastrofé quasi generale. Mi salvai dal naufragio aggrappato alla fragile zattera dell’inventiva e della fantasia. La Dea Fortuna (dea di serie B, ondivaga e un po’ mignotta) accorse in mio aiuto e da allora mi è sempre stata al fianco. Alla fine andò scandalosamente bene. Le tre sillabe MA-TU-RO stampigliate sul tabellone non mi fecero sentire più grande, semmai più stupido. Ma chi se ne importava? Io volevo fare il giornalista.
di Gabriele Moroni