I MANTOVANI parlano di «terremoto dimenticato». Dimenticato non dalla burocrazia, dai bizantinismi della politica, dalla trascuratezza. Serie A e B anche per le catastrofi. Ultimo esempio la dichiarazione di inammissibilità che la commissione ambiente della Camera ha riseravto a un emendamento del deputato Pd Marco Carra, che aveva l’ardire di chiedere di estendere anche ai centri terremotati di Lombardia e Veneto, dopo quelli emiliani, la sospensione «sine die» dall’obbligo di costituire le «centrali di committenza», quei soggetti a livello comprensoriale destinati a centralizzare appalti, acquisti di forniture, beni, servizi. Storia che viene da lontano, si riavvolge, si ripete, si clona. Il decreto 74, varato dal governo Monti per fronteggiare l’emergenza del duplice sisma del maggio 2012, concede una serie di benefici citando sempre e soltanto l’Emilia. Amministratori e cittadini del 41 comuni mantovani colpiti incominciano allora a provare la sensazione indigesta di essere finiti in un cono d’ombra. Il primo stanziamento offre briciole, 20 milioni, un misero 4 per cento sulla ripartizione globale per un territorio che ha avuto danni per 900 milioni e 3mila sfollati. La proteste fanno vibrare il Palazzo, da dove escono 31 milioni in più. Maggio 2014. Due anni dopo sono in 700 ancora fuori casa, 5 i municipi chiusi, 50 le chiese dove non si può tornare a pregare. Numeri tristi. Ma è più forte la tristezza di chi si sente figlio di un sisma minore.

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