Se fare il pendolare stanca più che lavorare

Sono pendolare da sempre e non mi sono ancora stancato. Il punto non è questo. Mio figlio si è impiegato presto e bene (ringraziando il Cielo) a Milano. Ci credereste? Dopo un anno o poco, si mostra stanco, deluso. Non del lavoro, per fortuna, ma del pendolarismo. Detesta alzarsi presto, correre in stazione, viaggiare. Non […]

Sono pendolare da sempre e non mi sono ancora stancato. Il punto non è questo. Mio figlio si è impiegato presto e bene (ringraziando il Cielo) a Milano. Ci credereste? Dopo un anno o poco, si mostra stanco, deluso. Non del lavoro, per fortuna, ma del pendolarismo. Detesta alzarsi presto, correre in stazione, viaggiare. Non gli piace la compagnia che trova. Delusione. Io, pendolare, ho un figlio degenere?

Salvatore, Varese

CAPIAMO la sua delusione, caro amico pendolare con le tempie grigie come le nostre, di fronte alle intemperanze di un insofferente rampollo. Non c’è niente da fare se non una cosa: aspettare. Con pazienza, affidandosi alla grande panacea del tempo. Vedrai vedrai, vedrai che cambierà, dice una bellissima, struggente canzone di Luigi Tenco. Cambierà. Pendolari non si nasce, si diventa. Con il trascorrere delle stagioni anche suo figlio apprezzerà il pendolarismo nei suoi aspetti migliori, positivi. Si ritroverà pendolare a vita senza accorgersene. Farà finalmente amicizia con gli altri viaggiatori e forse troverà anche un amore (pendolare, ovviamente). Non è una condanna, tutt’altro. Nella sua quotidiana insicurezza, fatta di treni soppressi, fermate impreviste, ritardi, quella del pendolare, tra le tante vite che può vivere un uomo, è una delle più sicure. Il treno dell’andata e quello del ritorno. I piccoli riti quotidiani che si consumano a bordo. Il giornale o l’iPad. Un rapido sonno. Le nuovo conoscenze. Le soste e i guasti, sì, anche loro. Ma che pace, che confortante senso di sicurezza. Il nostro lettore si ritroverà in casa un figlio pendolare e fra qualche anno anche un nipotino che perpetuerà la dinastia pendolaresca. Lasci, caro Salvatore, che suo figlio sfoghi nervosismo e insofferenze accumulati correndo (si fa per dire) lungo le rotaie della Lombardia, su treni che saranno pure vecchi e lenti, ma che comunque portano al lavoro e riportano a casa. Lo lasci dire, sfogare, lagnarsi. Forse lo abbiamo fatto anche noi nei nostri primi viaggi e oggi neppure lo ricordiamo. Nervosismo e insofferenze si tramuteranno, se non in piacere, in tranquilla accettazione del proprio stato. Pendolari si diventa e anche il figlio di Salvatore lo diventerà. Eccome, se lo diventerà. Per ereditarietà, secondo le leggi mendeliane della genetica. Per abitudine. E poco alla volta forse anche per passione. Auguri, padre pendolare. E ci faccia sapere quando verrà quel giorno. Festeggeremo insieme.

gabriele.moroni@ilgiorno.net