ERA UN VECCHIO AMICO, Stefano Gerard, ma quella mattina il riconoscimento fu tardivo. Si aggirava nella piazza sventrata ricoperto di polvere, gli occhi dilatati dall’orrore. Si era salvato rifugiandosi sotto una Volvo posteggiata. Era stato fra i primi a notare lo schizzare dei mattoni. Era iniziato lo spanciamento provocato dalla sovrapposizione sulla Torre di una cella campanaria, costruzione posticcia, incongrua. «Faccia presto, signora, chiami i vigili», aveva urlato Stefano a Pia Casella Comaschi, l’edicolante della piazza. Lei, la Pia, popolarissima nella zona, aveva afferrato il telefono. Era morta nella sua edicola, schiacciata dalle macerie. Figure attonite uscivano dalla nube di polvere gialla che si sollevava dagli ottomila metri cubi di mattoni, sabbia, granito rovinati al suolo. Poi la nube tornava a inghiottirli. Enormi massi, blocchi di mattoni spessi alcuni metri chiudevano lo sbocco della piazza verso le strade laterali.Comedopo un bombardamento. Se una scolaresca fosse uscita dal Duomo qualche attimo più tardi, se il parroco Ernesto Bottoni avesse già impartito la bendizione a cento fedeli, sarebbe stata una ecatombe. Giulio Fontana, l’albergatore del «Regisole», era ancora seduto sulla poltrona del barbiere. E Barbara Cassani e Adriana Uggetti, le due amiche di San Genesio, dov’erano? Per qualche ora aveva resistito la speranza che fossero salve, che non si fossero attardate per troppo tempo davanti a quella vetrina, proprio sotto la Torre. No, le loro vite di 17 e 18 anni non potevano essere state strappate. Le trovarono a cinque giorni dal disastro. Alle 3.35 di notte, alla luce delle fotoelettriche, sotto un temporale senza fine, le ruspe si bloccarono. Era affiorata una ciocca di capelli biondi. Poi due zainetti. Una piccola mano, bianca come porcellana, che si sarebbe voluto accarezzare per un momento solo. Adriana e Barbara, abbracciate.

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