LA NOSTRA memoria di vecchi frequentatori di aule giudiziarie e cancellerie penali ci riporta il ricordo della lettura di sentenze di processi terminati con l’annegamento nella prescrizione. Argomentazioni lampanti, riflessioni logiche, reprobi inchiodati al muro delle loro responsabilità dai dardi giuridici. Ma nessuna condanna. Prescrizione. Uno sberleffo. Perché la giustizia non aveva tenuto il passo del tempo. Prescrizione. Troppe volte sinonimo di resa. All’inaugurazione dell’anno giudiziario a Milano, il presidente della Corte d’appello, Giovanni Canzio, propone una discrezionalità dei magistrati nel gestire le cosiddette notizie di reato, «a fronte di scarsa rilevanza e tenue offensività dei reati». Procedere o no. Decida il giudice nel chiuso del suo studio e nel confronto con la propria coscienza. Discrezionalità. Alla quale potrebbe corrispondere (questo è il rischio) la discrezionalità del reo nel graduare il reato. Proposta rivoluzionaria, speranza, utopia. Un po’ di tutto questo. Le parole di Canzio hanno catalizzato quattro minuti di applausi. Di condivisione, certo. E forse anche di speranzoso sollievo.