Le tappe di un dramma

UNA SENTENZA di Cassazione che condanna Alberto Stasi a sedici anni di carcere. Una sentenza che conferma quella della Corte d’Assise d’appello di Milano. Due giorni fa, prima che venisse letto il dispositivo che faceva di Stasi un detenuto, il sostituto procuratore generale, quindi la figura chiamata a sostenere l’accusa, ha definito “fatta male” la sentenza […]

UNA SENTENZA di Cassazione che condanna Alberto Stasi a sedici anni di carcere. Una sentenza che conferma quella della Corte d’Assise d’appello di Milano. Due giorni fa, prima che venisse letto il dispositivo che faceva di Stasi un detenuto, il sostituto procuratore generale, quindi la figura chiamata a sostenere l’accusa, ha definito “fatta male” la sentenza milanese e ne ha chiesto l’annullamento. Procediamo a ritroso. Nell’aprile del 2013, quando il caso Garlasco era approdato per la prima volta davanti alla Suprema Corte, un altro sostituto pg aveva svolto una serrata requisitoria indicando quelle che considerava le carenze storiche dell’inchiesta. Indicazioni puntualmente recepite dalla sentenza che aveva rimandato il processo a Milano.

Qui, la Procura generale aveva percorso quella strada maestra con grande scrupolo e tenacia. Ne era scaturita la sentenza di condanna per Stasi, la prima dopo due di assoluzione. La stessa sentenza che un altro procuratore di Cassazione ha affossato e che i giudici hanno ribadito dopo due ore di camera di consiglio. Allora l’impressione è quella di una sorta di avvitamento, di tortuosità, di quella giustizia in crisi di cui a parlato il procuratore torinese Raffaele Guariniello. A otto anni e quattro mesi da quel terribile lunedì di agosto quando a Chiara Poggi venne strappato il sorriso.

gabrielemoroni51@gmail.com