Ombre sul lago. Trascorrere degli anni storicizza gli eventi. Non dissolve ogni zona di mistero, non risponde a tutti gli interrogativi, non fuga le inquietudini sull’agonia del fascismo e la fine del suo fondatore. Di fronte alla cancellata di una residenza lacustre raffiche di mitra abbattono un Mussolini ingrigito e stanco e una Petacci fedele fino al sacrificio ultimo. Il crepitare dei colpi non chiude un capitolo della Storia. Al contrario lo apre su pagine irte di domande. Accomunati dalla militanza e dalla fedeltà di partito, i protagonisti della più clamorosa esecuzione del secolo scorso raccordarono (sia pure con tempo e fatica) una versione univoca di quanto accadde. A premere il grilletto e ad assumersi pubblicamente il ruolo di giustiziere fu Walter Audisio, il ragioniere di Alessandria che gli italiani impararono a conoscere nel dopoguerra come «colonnello Valerio», baschetto, impermeabile, baffetti sottili. Lo affiancavano Aldo Lampredi e Michele Moretti, commissario politico e della Brigata Garibaldi Fu proprio il comasco Moretti il più tetragono nell’osservare il dovere (o la consegna) del silenzio. Solo nelle ultime delle sue rare dichiarazioni violò la pietrificata riservatezza di comunista intransigente lasciando intendere un suo ruolo più diretto nella fucilazione. E ci furono sul lago morti misteriose, omicidi insoluti che si vollero legati all’accaparramento e alla scomparsa dell’«oro di Dongo», ingoiato da casse voraci: non solo ricchezze ma anche documenti che accompagnavano nella fuga il fantasma di Mussolini e gli epigoni del regime. Scomparsi gli attori principali e gran parte dei testimoni, la verità su quei giorni in riva al Lario rimane affidata alle memorie di pochi superstiti. O al chiuso di archivi che guardiani inflessibili si sono finora rifiutati di spalancare. Per quanto ancora?

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