ERA nemico il Po, quel giorno di autunno di tredici anni fa. Ma ancora più ostile sa essere la burocrazia, alleata della Regione Lombardia che rivuole 380mila euro dagli abitanti di San Daniele Po, l’unico paese in golena della provincia di Cremona.
QUEL 18 ottobre del 2000 il Po s’impenna fino a cinque metri di altezza, sommerge le case fino ai primi piani, inghiotte la frazione Sommo con Porto. È tosta e tenace la gente di golena, abituata da generazioni a lottare contro le piene del Grande Fiume, a subirne gli attacchi, a sconfiggerne le conseguenze. Il tempo che le acque livide si ritirino ed è già al lavoro. Lavori in economia, come consente il decreto sfornato all’epoca dal governo. Asciugare, pulire, dipingere, bonificare i pozzi. Il minimo per fare ritorno in pochi giorni nelle abitazioni, riattivare officine e stalle, riaprire la chiesa.
TUTTO documentato dagli scontrini di spesa e dalle ore di lavoro sostenute, certificato da professionisti esterni. Una catena di solidarietà affratella la piccola comunità (poco più di 1.400 abitanti) che accoglie e ospita gli sfollati. Il contributo viene elargito. La Regione ci ripensa, sostiene che la documentazione delle spese non è completa perché mancano le fatture. Una prima sconfitta è incassata dal Tar nel 2007. Il Pirellone non si rassegna e si appella al Consiglio di Stato che qualche giorno fa accoglie il ricorso. L’amministrazione di San Daniele, i 120 residenti di Sommo con Porto, dovranno restituire i 380mila euro distribuiti. A distanza di tredici anni una grande vicenda di solidarietà, alacrità, civismo ingrigisce in una storia di straordinaria burocrazia. Peccato.
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