Com’è il tifoso milanista? In tre parole paziente, tenace, appassionato, autoironico. Una categoria a cui appartiene Antonio Carioti, giornalista, scrittore e cuore rossonero, autore di “#incimaalmondo. Il manuale di chi tifa Milan” (Fandango Libri, pagg.96, euro 5,90). Dunque. Il tifoso milanista è abituato a soffrire perché sa che le vittorie bagnate di lacrime sono le più belle. E’ capace di lunghe attese: quarantaquattro anni fra il terzo scudetto (1907) e il quarto (1951), undici anni fra il nono titolo e quello che, nel 1979, fece finalmente planare la stella sul pratone di San Siro.
Ringrazia Silvio Berlusconi ma venera la memoria di Nereo Rocco. Ha sostenuto la compagine astrale di Arrigo Sacchi e quelle costruite con gli avanzi di cucina. Ha visto la sua squadra sopravvivere a Felice Riva e a Giussi Farina e l’ha seguita due volte in B. Si leggano le cifre offerte da Carioti a proposito di quella discesa agli Inferi e poi parleremo di quale sia la squadra più amata d’Italia. Nel 1982 il retrocesso Milan ebbe una media di 35mila spettatori nelle partite casalinghe. La Juventus di Boniek e Platini non arrivò a 42mila. Nel campionato 1983-’84 il Milan risalito in A superò quota 53mila mentre i bianconeri (ma chiamiamoli gobbi, è più appropriato) si fermarono, come l’Inter, poco sopra i 43 mila. Campionato 1984-’85: Milan quasi 61mila, Inter 52mila, gobbi 41 mila. 1985-’86: Milan 56mila, Inter 53, mentre la Juve conquistava lo scudetto numero 22 seguita da meno di 40mila.
Ancora. Il tifoso rossonero ha vissuto la beffa di Istanbul e le notti di tripudio a Barcellona, a Vienna, ad Atene, a Manchester. E’ stato milanista con Van Basten, Savicevic, Weah, Shevchenko, Pippo Inzaghi e Kakà e non ha smesso di esserlo con Egidio Calloni e Luther Blisset. Questo e tanto altro ancora è il tifoso del Milan. Altari e polvere. Fanfare e silenzi. Cieli e polvere. Ma il Diavolo è duro di corteccia e ogni volta risorge dalla polvere per andare a stare #incimaalmondo.