SONO FIGLIO di pendolari e sono a mia volta pendolare da non moltissimi anni, cinque per la precisione. Da qualche tempo mi frulla in testa un’idea: perché non istituire una Giornata del Pendolare? Lo scrivo a lettere maiuscole perché credo che poche categorie come quella dei pendolari siano vittime di una situazione paradossale e grottesca. Tutti pronti a parlare di come sia dura e disagiata la nostra vita ogni volta (e sono tante) che si verifica un problema e tutti altrettanto pronti a dimenticarsi di noi il giorno dopo. Istituiamo invece una giornata perché si parli dei pendolari per 24 ore su 24. E ripetiamola l’anno dopo e gli anni a seguire. Sogno? A mio modo di vedere non dovrebbe essere un’impresa impossibile.

Claudio, Varese
ALL’AMICO Claudio ricordiamo anzitutto che il 13 maggio è stata la giornata di mobilitazione nel trasporto locale, con presidi in tutti i capoluoghi di regione. I sindacati dei trasporti l’avevano annunciata «a sostegno della vertenza per rinnovo del contratto nazionale di lavoro, scaduto il 31 dicembre 2007, per il finanziamento del trasporto locale e per la regolazione del processo di riassetto del settore». Ma crediamo di capire (fra pendolari non può essere diversamente) cosa intenda il nostro lettore. Una Giornata del Pendolare (adottiamo anche noi, con piacere, una maiuscola che ci spetta)? E perché no? Qualche tavola rotonda, possibilmente non troppo lunga né troppo noiosa, per dibattere dei nostri problemi e poi spazio agli incontri, alle chiacchiere, ai cicalecci, al piacere di ritrovarsi per una volta senza l’assillo di mezzi da prendere. Ma anche spazio al momento ludico. Film e libri sui pendolari, quadri. E anche canzoni. Mentre leggevamo la mail di Claudio ce n’è tornata in mente una di Domenico Modugno, certamente fra le meno belle e fortunate. S’intitolava «Un calcio alla città» e venne presentata, se la memoria non ci tradisce, in un remotissimo Sanremo negli anni ’70. Senza successo, come si diceva. Ma il testo, che siamo andati a recuperar, rispecchia lo stato d’animo del nostro lettore, comune a molti pendolari se non a tutti. Il protagonista viaggia come ogni giorno nella nebbia, è incatenato alla scrivania come a un remo di galera. Ma oltre la nebbia si allarga l’orizzonte e il sole dardeggia. Il sole, già, il sole. La vita è fuori, è altrove. Ed ecco, davanti a quella visione da infinito leopardiano, scattare nel grigio travet la scintilla della rivolta. «Stamattina – recita infatti il ritornello – non mi va, voglio dare un calcio a tutta la città. Amore mio, vieni anche tu. Il capufficio lasciamolo su, lasciamolo su». Così, da uomo a uomo e soprattutto da pendolare a pendolare, chi anche senza conoscere il motivo del grande Mimmo, non ha sognato almeno una volta di dare un calcio alla città, di abbandonare il capufficio al suo destino e nel nostro caso di volgere sdegnosamente le spalle all’odiosamato treno? Un sogno, caro amico pendolare, quello di avere un’intera giornata tutta per noi? Può darsi. Ma non nel tutto irrealizzabile.

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