In tempo d’estate le televisioni private sono un piacevole pascolo per cinefili. Una emittente campana ha proposto a più riprese “Il colosso d’argilla”, parabola sul racket del pugilato che adombra la vicenda epico-tragica del nostro Primo Carnera. Girato nel 1956, è l’ultimo film di Humphrey Bogart,  che vi interpreta il giornalista Eddie Willis, prima connivente e poi acccusatore delle mafie del ring. Grande Bogey, da rivedere, rileggere, non dimenticare. Da studiare e insegnare. Lo scalcinato  Charlie Allnutt della “Regina d’Africa”  (il suo unico Oscar) che l’ardente Katharine Hepburn converte all’eroismo patriottico. Comandante vigliacco dell'”Ammutinamento del Caino”. Avventuriero nel “Tesoro della Sierra Madre”. Brillante in “Sabrina” e “Non siamo angeli”. Leggendario nel dramma romantico di “Casablanca”. Delinquente dalle tempie grigie e dal cuore stanco in “Ore disperate”. Harry Morgan, moderno pirata in “Acque del Sud”. Nella figura del detective Philip Marlowe  del “Grande sonno” l’introversione si fa sistema e dimensione esistenziale “.
 
Duro, ironico, colto. Maschera granitica e insieme cangiante. Volto segnato da vent’anni di errori, matrimoni falliti, false partenze e ripartenze, delusioni e batoste nell’ascesa faticosa alla vetta del successo. Fedele non ai suoi personaggi ma a se stesso anche nel momento del congedo. Quando giornalista scrisse che era morente al Memorial Hospital di Los Angeles, la replica di Bogart giunse immediata: “Ho letto che mi hanno asportato entrambi i polmoni; che mi restava mezz’ora di vita; che ero in fin di vita in un ospedale che non esiste nemmeno; che il mio cuore ha cessato di battere ed è stato sostituito con un vecchia pompa di benzina presa da una stazione di servizio in disuso. Mi hanno spacciato per diretto a tutti i cimiteri da qui al Mississippi, tra i quali alcuni sono certo che accettino solo cani. Tutto ciò addolora i miei amici, per non parlare delle compagnie d’assicurazione …”. E fu ancora Bogart. Per l’ultima volta.