Garibaldi fu ferito ma dal fuoco amico

“Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba, Garibaldi che comanda, che comanda i suoi soldà”. Chi era ragazzino negli anni Cinquanta non può avere dimenticato quella canzoncina popolare entrata a far parte della colonna sonora di una infanzia remota. Garibaldi fu ferito di striscio all’anca sinistra e dolorosamente al malleolo del piede destro. Questo […]

“Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba, Garibaldi che comanda, che comanda i suoi soldà”. Chi era ragazzino negli anni Cinquanta non può avere dimenticato quella canzoncina popolare entrata a far parte della colonna sonora di una infanzia remota. Garibaldi fu ferito di striscio all’anca sinistra e dolorosamente al malleolo del piede destro. Questo mentre i suoi volontari fronteggiavano i bersaglieri  del colonnello Pallavicini di Priola, precipitosamente spediti a bloccare la risalita del Generale verso Roma che aveva fatto inalberare Napoleone III, imperatore dei Francesi. Era il 29 agosto 1862, sui contrafforti dell’Aspromonte.  Ferito da chi? Dal fuoco amico, da un colpo d’arma da fuoco, probabilmente un revolver, sfuggito nella concitazione del momento,a qualcuno che gli stava vicino. Il Generale aveva appena finito di pronunciare la famosa frase “Non fate fuoco. Sono nostri fratelli”. Il grosso dei volontari gli obbedì, ma quelli al centro, al comando del figlio Menotti, rispose al fuoco. Si sparò per una decina di minuti. Rimasero sul terreno sette garibaldini e cinque regolari, venti volontari e quattordici bersaglieri rimasero feriti.

Garibaldi venne colpito per errore da uno dei suoi. Non ha dubbi Gennaro Rispoli, primario di chirurgia all’ospedale Ascalesi di Napoli, nonché fondatore del Museo delle arti sanitarie e di storia delle medicina”. Il gruppo “Garibaldi fu ferito” del Museo ha lavorato sui referti dei 129 medici che si alternarono al capezzale dell’illustre ferito. Queste le conclusioni più importanti. La traiettoria della pallottola. “I medici – dice Rispoli – che curarono Garibaldi litigarono su tutto, salvo concordare su un punto: il colpo aveva seguito una traiettoria obliqua. Il proiettile ha una angolazione precisacon foro d’ingresso in alto e percorso che scende verso il basso. Come sarebbe stato possibile visto che le camicie rosse erano attestate in alto, su un pianoro, in una posizione favorevolissima in caso di combattimento, mentre i bersaglieri avanzavano da sotto e al momento dello scontro si trovavano ad almeno duecento metri di distanza, come si ricava da tutte le stampe dell’epoca? Impossibile che a colpire siano stati loro”.

La pelle dello stivale del Generale (dono degli operai di un cappellificio milanese) presenta almeno tre fori irregolari. Probabilmente il cuoio dello stivale e i pantaloni in tela jeans indossati da Garibaldi  fermarono almeno altri due proiettili, oltre a quello che provocò la ferita, giunti a bersaglio con minore forza viva. Sullo stivale rimase una bruciatura a forma lacero-contusa come se il colpo fosse stato esploso da distanza ravvicinata. E nell’attimo del ferimento solo i garibaldini erano tanto vicini al loro condottiero.

Ancora. Il proiettile estratto dal malleolo di Garibaldi e tenuto nascosto per decenni dal figlio Menotti pesa solo 22 grammi, contro 30 di quelli che armavano le carabine di precisione Enfield dei bersaglieri.

I ricercatori napoletani sostengono le loro convinzioni anche con una lettera scritta a Milano, il 19 novembre 1862, dal chirurgo Ambrogio Gherini, primario dell’Ospedale Maggiore: “Oggi venni assicurato che la ferita del Generale è stata fatta con un revolver. Aveva ben ragione di dire il professor Porta che una palla da bersagliere non poteva essere passata per la piccola ferita che egli esplorava. Che la cosa stia tra me, voi, il Generale e Ripari. Segretezza! Può il Generale rammentarsi a quale distanza si trovava all’atto del ferimento? Il fatto sta che una pallottola rigata può ferire con effetto a una grande distanza”.

 

 

LE IMMAGINI:

 

La ricostruzione ripropone, in accordo con i documenti, la posizione del Generale al davanti delle file dei garibaldini per imporre ai suoi il “cessate il fuoco”. Comunque dalle  fila dei volontari partirono colpi che provocarono sette morti e venticinque feriti nell’esercito governativo. La posizione del Generale, la traiettoria della pallottola e i segni     inconfutabili sullo stivale di un colpo esploso a distanza ravvicinata fanno propendere per l’ipotesi che la palla provenisse dalle file garibaldine a distanza ravvicinata, escludendo decisamente l’ipotesi di una pallottola dei bersaglieri sparata a duecento passi. L’interpretazione di Ripari sul colpo deviato appare costruita ad arte ed approvata con interesse diverso da entrambi gli schieramenti. Sul fatto d’arme vi furono pareri contrastanti. Comunque il Generale, anche se reticente sui fatti dell’Aspromonte, non perderà il suo smalto da eroe nonostante colpito da fuoco amico. Seppe gestire e comunicare la ferita grave e la sconfitta trasformandole in un forte monito all’Europa per Roma capitale. 

 

 

 

Tutte le descrizioni anatomo-chirurgiche della ferita trovano concordi i chirurghi sul forame d’ingresso e sulla traiettoria obliqua dall’alto verso il basso e dalla regione interna malleolare destra al capo distale del perone. Il colpo indica la traiettoria di una pallottola proveniente da una posizione elevata, quale era quella della linea di fuoco garibaldina. Impossibile immaginare una traiettoria proveniente dal basso, dove sparavano avanzando i bersaglieri; anche debole rimane l’ipotesi caldeggiata da Ripari di un proiettile deviato. Basta guardare lo stivale e la ricostruzione della ferita sul cadavere effettuata dal Basile per comprendere che il forame esterno, così come lo stivale, presentano segni di effetto termico e scoppio come da fiammata prodotta da un colpo a carica multipla esplosa a distanza piuttosto ravvicinata, perciò incompatibile con una palla partita dalle lontane truppe governative. Lo stivale, regalo di operai di un cappellificio milanese al Generale, presenta almeno tre fori irregolari con pelo raro come da effetto contusivo-termico. Probabilmente i bordi del cuoio come quelli della cute  sono stati introflessi e certamente lo spessore del cuoio e i pantaloni in tela jeans indossati dal Generale hanno fermato almeno due “proiettili” con minore forza viva.