DA DUE ANNI lottano perché il «loro» terremoto non sia quello dimenticato. Il sisma di serie B, come se quella del maggio 2012 non fosse stata una sciagura collettiva. Gente tosta, i mantovani, alacre, pratica, abituata a pensare che i consuntivi si fanno soltanto alla fine. Per i 41 comuni colpiti (15 quelli del «cratere») parlano i numeri del terremoto, delle devastazioni, dei fondi erogati e dei fondi che non hanno ancora lasciato il libro dei sogni per entrare in quello dei bilanci comunali. Numeri tristi. A due anni dal terribile maggio 2012 sono 700 le persone che non sono ancora rientrate in casa, 5 i municipi chiusi, 50 le chiese dove non si può tornare a pregare. Sulla carta una cascata di soldi, nella realtà arrivano distillati. Con il decreto legge 74 lo Stato ha erogato finora 46 milioni di euro, 55 sono ancora attesi. Per il recupero di edifici pubblici e privati sono stati erogati altri 175 milioni, oltre 300 mancano all’appello. Dal fondo di solidarietà Ue sono venuti 42 milioni, bene la Regione con 30 milioni per il ponte di San Benedetto Po.
Il male italico della burocrazia ha attecchito anche nel dopo terremoto mantovano. Emblematico il caso di Moglia, il centro più colpito, 829 edifici danneggiati. Alle 314 pratiche di cittadini che hanno chiesto i contributi per le abitazioni lesionate, se ne aggiungono altre 2.133 di chi ha aperto il cantiere senza attendere lo Stato. Il sindaco Simona Maretti lancia l’allarme: «Il nostro ufficio tecnico lavora da due anni a ritmi assurdi. Se non ci daranno un aiuto, le liste d’attesa si allungheranno e si fermerà tutto».
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