Da milanista due volte l’anno devo tifare Inter

AMO RIPETERE di essere nato (nato, si badi, non diventato) milanista in una famiglia interista. Dal momento che non ho motivo alcuno di dubitare di mia madre, qualcosa deve essere accaduto, o nel travaglio del parto o prima ancora, nei mesi della gestazione. Un giorno mi accorsi con orrore di avere tifato Inter. Nei giorni […]

AMO RIPETERE di essere nato (nato, si badi, non diventato) milanista in una famiglia interista. Dal momento che non ho motivo alcuno di dubitare di mia madre, qualcosa deve essere accaduto, o nel travaglio del parto o prima ancora, nei mesi della gestazione. Un giorno mi accorsi con orrore di avere tifato Inter. Nei giorni a seguire non confessai neppure a me stesso il terribile cedimento. Ma ecco la tentazione ripresentarsi, più subdola e, ahimé, ancora più forte della prima volta. E arrivò anche la spiegazione dell’innaturale fenomeno che si ripete da allora, almeno due volte all’anno, per 180 minuti più eventuali extra: l’Inter giocava contro la Juventus. Secondo le leggi chimiche del tifo le due avversioni avrebbero dovuto bilanciarsi per poi elidersi a vicenda. Non era così. Quella per la Juve sopravanzava di gran lunga l’ostilità per le pur detestate maglie nerazzurre.

Un odio anti-iuventino (ma sì, chiamiamolo con il suo nome) antico e radicato negli anni ’70. Ai tempi i gobbi inanellavano scudetti su scudetti salvo essere regolarmente bastonati non appena mettevano la punta del naso oltre il valico di Brogeda. La squadra più titolata d’Italia non vinceva nulla in Europa, dove invece le milanesi avevano mietuto prestigiosi successi. Da allora non mi ha più abbandonato il sospetto di una Juventus sostenuta (oltreché, s’intende, dal valore dei suoi giocatori) dal potere e dalla ricchezza. Una immagine di arroganza appena coperta da un velo di cipria. Tiferò Inter anche oggi. Senza applaudire. Le mie mani saranno troppo impegnate a schiaffeggiarmi.

gabriele.moroni@ilgiorno.net