VERRÀ RICORDATO oggi, con la messa che don Corinno Scotti celebrerà alle 18 nella chiesa parrocchiale di Brembate di Sopra. Giovanni Valsecchi era mancato a 68 anni, il 26 febbraio di due anni fa, giusto un anno dopo che un campo incolto a Chignolo d’Isola aveva restituito il corpo senza vita di Yara Gambirasio. Capogruppo degli alpini di Brembate e coordinatore della protezione civile Ana, Giovanni Valsecchi era stato l’anima delle ricerche della ginnasta tredicenne, scomparsa la sera del 26 novembre del 2010 all’uscita dal centro sportivo del paese.

Figura massiccia che pareva squadrata con l’accetta, chiusa nella tuta gialla della Protezione civile, capigliatura candida sormontata dall’inseparabile cappello da alpino, imponenti baffi risorgimentali, Giovanni Valsecchi era stata l’anima delle ricerche. Raccontava la sera di quel maledetto giovedì. «Mi ha telefonato il sindaco per dirmi di stare in allarme. “Muoviamoci subito”, ho risposto. Non era possibile, si doveva aspettare il via dai carabinieri. Mi ha richiamato sabato sera. Domenica mattina alle sette noi e gli altri gruppi ci siamo concentrati alla caserma dei carabinieri di Ponte San Pietro e siamo partiti».

«Siamo partiti». Era la sua personalissima sintesi di tre mesi di emergenza, battute, fatiche, gelo. Insieme con il rammarico per non essere «partiti» subito e la sua convinzione incrollabile: «Yara è ancora viva, me lo sento».
Fino al 26 febbraio 2011. Non erano mancate le polemiche. Da parte di qualcuno era stato sostenuto che l’area di Chignolo d’Isola era stata trascurata. L’uomo simbolo delle ricerche aveva replicato con la forza della semplicità, citando le parole di Fulvio Gambirasio, il padre di Yara: «Giovanni, non amareggiarti. Non è il caso». Ma qualcosa si era rotto in quell’uomo di ferro che forse aveva incominciato un po’ a morire.