Quando gli ideali languono non restano che i conti della serva. Diceva Roberto Maroni nei giorni scorsi che tra i parlamentari e i ministri leghisti c’è sempre stata la regola di versare al partito 2500 euro al mese del proprio stipendio. Dunque facciamo un po’ di conti. Roberto Calderoli si è abbastanza infuriato per la storia della casa a Roma che gli pagava il partito e si è meravigliato di essere considerato uno scroccone, indicando a sua discolpa il fatto che lui ha sempre pagato alla Lega puntuali e sostanziose somme di denaro ovvero le quote mensili di cui si è detto. Ma allora se è vero come dice Maroni che tutti pagano 2500 euro al mese alla Lega e a Calderoli la Lega paga l’affitto di una casa da 2200 euro al mese, alla fine l’ex ministro ci ha guadagnato perché, 2500 meno 2200, se l’è cavata con 300 euro anziché 2500. Il che, se fosse vero, sarebbe una furbata. Sì, lo so che come argomenti non sono molto nobili né appassionanti ma questo passa il convento. C’è poco da fare gli schizzinosi. Dalle gloriose ed eroiche gesta dei cavalieri celtici che piombavano dalle Alpi al grido di «ce l’ho duro» siamo passati ai miasmi delle più luride fogne delle furberie di Roma ladrona. Scoprendo che i ladroni non sono tutti romani.

Poi c’è stata la grande dichiarazione del capo Umberto Bossi che come se non fossero bastate le brutte figure collezionate in questi giorni ci ha aggiunto del suo, sostenendo che lui se volesse i soldi del partito potrebbe anche farli volare dalla finestra, perché sono soldi suoi. Dimenticando che invece sono nostri. E anche in questo caso la memoria storica ci porta a sconsolanti confronti. Perché in un tempo lontano, come si sa, dalla finestra facevano volare i politici e i borgomastri, come accadde a Praga cinque o sei secoli fa, quando i rivoluzionari dell’epoca, si chiamavano hussiti, non trovarono di meglio per esprimere la loro furia lanciando dalle finestre dei palazzi del potere i nobili locali. Che come esperienza è più drammatica di quella che ha a che fare con il denaro buttato via, ma, come dire?, ha una sua più cruenta dignità rispetto alle più recenti vocazioni sperperatorie.

Ma, si badi bene, Bossi non ha detto una cosa senza senso, ha anzi espresso con straordinaria efficacia e precisione quella che è una mentalità molto più diffusa di quanto non si pensi e che ha a che fare con il dare sempre e comunque la preferenza al proprio egoistico tornaconto anziché al bene comune, senza stare a preoccuparsi del danno che tale comportamento procura agli altri. E qui ci imbattiamo nel vuoto di un’ideale, che per quanto confezionato con argomenti parastorici sulla presunta esistenza di un’entità geopolitica che abbia mai potuto legittimamente chiamarsi Padania, alla fine tante belle idee debbano fare i conti con una mentalità che altro non esprime che il desiderio di trarre il massimo dei profitti con il minimo costo e magari con il massimo dell’arroganza.

Evitiamo di farci domande sugli aspetti morali della costruzione intellettuale di tale raginamento. Per trovare qualche labile giustificazione dovremmo semmai cercarla in coloro che dalla finestra buttavano i borgomastri non i soldi.