Una sola famiglia

E’ SEMPRE successo che noi abbiamo guardato a loro per inseguire la fantasia e costruire progetti e che loro abbiano guardato a noi per cercare le loro radici, parliamo degli Stati Uniti e dell’Europa, ma soprattutto dell’Italia, che non potrebbe mai sentirsi lontana da quella che fu la nuova terra di tanti suoi figli. Epperò […]

E’ SEMPRE successo che noi abbiamo guardato a loro per inseguire la fantasia e costruire progetti e che loro abbiano guardato a noi per cercare le loro radici, parliamo degli Stati Uniti e dell’Europa, ma soprattutto dell’Italia, che non potrebbe mai sentirsi lontana da quella che fu la nuova terra di tanti suoi figli. Epperò scopriamo di essere simili ma anche molto diversi, se pensiamo alle lunghe file di americani davanti ai seggi elettorali. Che cosa li sorreggeva nell’attesa se non la convinzione che quel loro voto sarebbe stato importante e forse decisivo per la loro patria oltre che per loro stessi? E’ immediato il confronto all’assolato deserto attorno ai seggi elettorali della Sicilia, alcune settimane fa, espressione tangibile di una condanna senza appello verso una politica corrotta e ingannevole. Ci avevano insegnato che nelle più evolute democrazie prevalgono apatia e distrazione per la politica. Dev’esserci qualcosa di non vero in questa convinzione, che confligge con la protesta del non voto in un’Italia sfiduciata e, al contrario, con la tenace determinazione ad esercitare il diritto di voto in un’America sommersa di problemi come noi ma fiduciosa, a differenza di noi, di potercela fare.

Si è sentito ripetere molte volte in questi giorni che si è allargato l’oceano tra il Vecchio e il Nuovo Continente e penso invece ci siano molti motivi per credere il contrario, per pensare che le attuali difficoltà ci avvicinano e non ci allontanano e per ritenere che i nostri nomi, America, Europa, Italia continuano a richiamare pensieri, stili di vita e modelli culturali ed estetici che restano gli esempi più alti di cui l’umanità dispone. Riferimenti che non sono paragonabili o sostituibili da quelli offerti da una Cina o un Oriente, irrimediabilmente troppo lontani da noi. Possiamo forse pensare come auspicabili l’efficienza da caserma che c’è nei luoghi di lavoro orientali o l’impossibilità di esercitare il diritto di sciopero o di pretendere miglioramenti salariali? E allora chi se non gli Stati Uniti e l’Europa coniugano la libertà con la produzione, i risultati con i diritti, il benessere con i doveri? In questo sta la ragione di un primato che vede gli Usa ancora come la prima potenza mondiale. Ma rilevato questo comune destino degli Usa e noi, emerge evidente la differenza, questa sì, sempre più marcata, tra europei e americani. Quel loro sentirsi uniti e orgogliosi, come chiassosi bambini e noi invece sempre vecchi noiosi. Con quel dire, come ha detto Obama, quasi fosse una giuramento di sangue, che “siamo e resteremo sempre gli Stati Uniti d’America”. E quell’invocare un’unità di intenti come fossero un’unica famiglia. Quel sentirsi una famiglia. Quell’idea di Stato famiglia che fa la differenza tra noi e loro. E quell’esortazione a onorare l’onestà, a rispettare “gli insegnanti che non devono solo insegnare ma ispirare”. Mentre noi li umiliamo. E infine la politica, la loro politica che pure costa come la nostra, ma non rinuncia a porre al centro l’idea di onestà mentre la nostra ammicca a vantaggi fraudolenti e ad arricchimenti illeciti. Sono queste le diversità che allargano l’oceano. Perciò non meravigliamoci se Obama dice che “il meglio deve ancora venire” mentre noi pensiamo sia già passato.

barack obama editoriale elezioni usa giovanni morandi italia morandi obama obama presidente stati uniti voto usa