Così aveva profetizzato Gianfranco Miglio, il leghista più intelligente e colto che la Lega abbia avuto, che se ne andò via perché non aveva più voglia di perdere tempo. Si era illuso di dare un’ideologia al secessionismo. Il professor Miglio, l’Umberto lo chiamava Mago Merlino. Il Mago aveva predetto, anzi aveva ricordato, che «la Lombardia non genera uomini di Stato» ma solo uomini d’affari. Bossi non è stato né l’uno né l’altro. Semmai un animale che in una stagione politica ha dato prova di saper annusare l’aria.

Ieri mattina ho trovato su una bancarella un vecchio libro di Miglio, nel quale è spiegato tutto quello che è successo oggi, a cominciare dall’incapacità di Bossi nel gestire le situazioni difficili. Berlusconi è un’altra cosa. Una fragilità che emerse ai tempi di Tangentopoli. Anche la Lega ci rimase inguaiata e Miglio si accorse della «sua inettitudine a padroneggiare serenamente davanti ai magistrati una situazione che non era poi gravissima». Figurarsi quel che non gli è accaduto con le accuse ben più gravi di questi giorni e con addosso gli acciacchi e un’età che certamente non l’aiutano.

Soprattutto con la debolezza del padre incapace di dire no ad un figlio troppo amato e viziato, a cui non avrebbe fatto altro che bene una sberla ogni tanto. Ma tant’è, tutto cambia meno che il carattere. E sono passati trent’anni. Era appunto il 1982 quando, con Maroni e Leoni, Bossi fondò la Lega lombarda divenendone segretario. Dotato di un gran fiuto, che però è sempre stato minato da una modestia culturale eccessiva.

A chi faceva finta di credergli ha sempre raccontato di avere letto centinaia di libri, da Pareto a Weber, da Cattaneo ad Adorno, da Marcuse a Gioberti, tutti autori dei quali, chi ne sapeva qualcosa non trovava traccia alcuna nel suo bagaglio culturale. Involontariamente confessò questi limiti quando decise di iscriversi alla facoltà di giurisprudenza di Padova e gli venne in mente di obbligare tutti i parlamentari leghisti a fare altrettanto. Ma la sua maggior colpa è stata quella di non aver saputo scegliere i migliori ma anzi di avere sistematicamente preferito i peggiori, per il solo fatto di essere inferiori a lui e dunque di poter primeggiare accanto a loro. Magari anche brava gente ma consapevole di dovere tutto al boss e dunque sempre pronta a dirgli sì.

A questa vanità aggiungeva la sua incontrollata gelosia, che lo induceva a guardare sempre come ad un nemico chiunque primeggiasse e si guadagnasse i favori dei leghisti. Negli ultimi anni, dopo la malattia, più che il capo è apparso come il prigioniero del Cerchio magico. Che altro non era che uno sportello pronta cassa. Con i nostri soldi.