Siamo come i socialisti

Poiché tutto ha un inizio e una fine, partiamo dall’inizio ovvero da quell’età nella quale tutto veniva travolto da una velocità che per quanto forsennata fosse non era mai abbastanza. Parlo di quegli anni in cui l’economia travolse anche la biologia se è vero che il benessere fece crescere l’altezza media degli italiani, quell’età in […]

Poiché tutto ha un inizio e una fine, partiamo dall’inizio ovvero da quell’età nella quale tutto veniva travolto da una velocità che per quanto forsennata fosse non era mai abbastanza. Parlo di quegli anni in cui l’economia travolse anche la biologia se è vero che il benessere fece crescere l’altezza media degli italiani, quell’età in cui ogni anno 200 mila italiani del Sud arrivavano al Nord, che aveva bisogno di loro. Gli Anni Cinquanta e Sessanta.

A sentir parlare sempre di Imu, chi la paga e chi no, si avverte l’inadeguatezza dell’argomento rispetto alla portata dei problemi, che hanno condotto l’Italia ma anche l’Europa in un tunnel dove, per quanto non manchino gli annunci di prossima uscita, onestamente la fine non si vede.

Cerchiamo allora di guardare un po’ più dall’alto quello che ci accade per saperne di più. Negli Anni Cinquanta la crescita del nostro Pil fu del 6-7% l’anno e nel decennio successivo del 5% con un tasso di inflazione anche questo del 5% e una spesa pubblica del 30%. Dal ’74 all’80 la crescita scese al 3%, l’inflazione salì al 16% e la spesa pubblica al 36%. Negli Anni Ottanta il Pil si fermò al 2,4%, l’inflazione scese al 9% e la spesa superò il 45%.

Infine dal ’92 la crescita è scesa sotto il 2% tendente all’1, l’inflazione sotto il 3% e la spesa pubblica è volata tra il 45 e il 50%.

E’ da questi confronti che bisogna partire per concepire risposte adeguate perché ogni altra visione più ristretta ci condanna all’inutile. Ed è questa la convinzione su cui si regge un illuminante studio scritto a quattro mani da Giuliano Amato e dallo storico Andrea Graziosi dal titolo “Grandi illusioni” uscito per i tipi de Il Mulino. Il sospetto che Amato e Graziosi inisinuano è il seguente: le dinamiche che abbiamo sintetizzato ci ricordano quello che è già accaduto nelle economie socialiste.

Anche nel loro caso dopo una crescita notevole i tassi di sviluppo cominciarono a declinare fino a tendere allo zero e ad arrivare al tracollo. Poiché stiamo vivendo una crisi che non è riferibile ad un goveno né ad un solo paese, dopo la Grecia, la Spagna, poi il Portogallo, l’Italia, ora in recessione c’è anche la Francia e nemmeno la Germania va più benissimo, allora se tutto questo accade è legittimo chiedersi dov’è l’errore e l’errore riguarda come minimo tutta l’eurozona. Lunga vita al governo Letta ma le soluzioni non sono solo lì e neppure nell’inflessibile rigore della signora Merkel, che purtroppo non è Adenauer e pensa che la baracca possa rimanere in piedi risparmiando soldini, vivendo modestamemnte e mettendo le monetine nel porcellino di coccio.

Naturalmente le colpe della Germania non riducono quelle dell’Italia per non aver affrontato le cure necessarie ed essersi rifiutata di fare i conti con una realtà che ora ci bracca e che, per quanto noi cerchiamo di sfuggire inseguendo i grilli, non ci darà pace. C’è un paese da ricostruire, è il nostro. E un’idea da ripensare, quella europea.

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