Risposta al premier

CARO Presidente, cerco di rispondere alla sua domanda circa i limiti che la stampa dovrebbe imporsi nell’esercizio dell’informazione o, se vuole, dei limiti che dovrebbero essere imposti alla stampa. La questione non è nuova e non è pensabile sia questa l’occasione per risolvere una volta per tutte il problema, anche perché il diritto all’informazione ha […]

CARO Presidente,

cerco di rispondere alla sua domanda circa i limiti che la stampa dovrebbe imporsi nell’esercizio dell’informazione o, se vuole, dei limiti che dovrebbero essere imposti alla stampa. La questione non è nuova e non è pensabile sia questa l’occasione per risolvere una volta per tutte il problema, anche perché il diritto all’informazione ha a che fare con i rapporti con il potere ed esiste un potere che non rinuncerà mai all’idea, al sogno, alla pretesa di restringere lo spazio concesso all’informazione in modo da controllarla in modo tale da poter dormire sonni tranquilli. Non è pensabile nemmeno che la questione possa essere chiusa con una risoluzione tecnica, sia pure di tipo legislativo perché tale questione non ha a che fare con il vasto mondo delle notizie ma con l’infinito orizzonte della coscienza. E infatti se mai volessimo scrivere una specie di decalogo sull’informazione potremmo cominciare specificando all’articolo 1 che il diritto alla stampa non è mai troppo. Nel senso che come tutti i diritti non può essere contenuto entro limiti prefissabili dal potere politico.

NÉ IL POTERE politico può arrogarsi il potere di fissare i limiti entro cui concedere all’informazione la possibilità di indagare e raccontare quasi si trattasse di un recinto all’interno del quale l’informazione fingesse di sentirsi libera. La sua domanda, Presidente, anche per il modo con cui è stata posta, che mi è parso un modo giusto presupponendo da parte di un politico o per meglio dire del Presidente del Consiglio di non avere una soluzione a portata di mano e ponendosi semmai come primo passo l’intenzione di ascoltare le opinioni di chi esercita la professione di informare, la sua domanda, dicevo, ha avuto il merito di offrirmi la possibilità di riflettere di nuovo su questo antico rompicapo. E per quanto abbia pensato e ripensato non ho trovato alcuna risposta nuova rispetto alle idee che precedentemente avevo e ovvero che per quanto sia opportuno porsi la questione di fermarsi di fronte a determinati limiti in determinate situazioni, che hanno a che fare con il rispetto della persona e il suo diritto alla privacy, quando si tratti non di personalità pubblica, è meno immaginabile che questi limiti siano posti da soggetti esterni al mondo dell’informazione. Essendo la questione attinente ai rapporti tra potere e stampa e dunque alla questione del potere della stampa dirò o le dirò che questi anni e questo ultimo ventennio in particolare non sono passati invano, perché i giornali si sono dati codici che si chiamano un po’ retoricamente deontologici che sono stati imposti dalla categoria, attraverso le sue forme rappresentative, alla categoria medesima a protezione dei cittadini, della loro privacy o della loro peculiarità, vedi i minori, particolarmente protetti nei contenuti dell’informazione e anche nei modi come la tutela dell’immagine. La domanda è: basta da sola questa autodisciplina ad evitare le violazioni della privacy e i diritti dei cittadini? La risposta è: no. Ma la risoluzione delle questioni circa tali violazioni ritengo sia giusto rimandare al potere giudiziario nei casi in cui si riterrà opportuno di farlo e saranno i tribunali ordinari a dire quando si sia fatto abuso dell’informazione. Tutte le altre forme di introdurre confini e limiti sono da ritenere sospettabili e da intendere eventualmente come espedienti consapevoli o inconsapevoli per imbrigliare la libera circolazione delle notizie, libertà che è l’ossessione di tutte le classi politiche quando sono indegne o quando sono afflitte dai guasti di una moralità discutibile o quando tale moralità, situazione molto frequente, si ha motivo di giudicare gracile.