Se ho capito bene quel che ha detto il presidente dell’Istat Enrico Giovannini, c’è poco da illudersi che la situazione migliori andando a votare. Ogni anno a Bologna la casa editrice il Mulino celebra una messa laica nell’aula magna, chiamando una personalità a relazionare su un tema, che quest’anno è stato: “Conoscere per decidere”. Come se ci fosse una possibilità di poter raggiungere un grado di conoscenza tale da ispirarci decisioni e comportamenti giusti ovvero adeguati. Il problema è che chi di questi comportamenti ha fatto motivo di studio ritiene invece che tendiamo a pensare in un modo e a comportarci in un altro o per meglio dire tendiamo a prendere scorciatoie emotive, piuttosto che strade indicate da pensieri razionali. E questo già può raccontarci molto non solo sul perché Grillo in questi tempi vada molto di moda. Ovvero in tempi in cui siamo sommersi dai problemi e da situazioni che richiederebbero la massima capacità e perizia e che invece proprio perché troppo difficili tendiamo ad affrontare scegliendo in modo superficiale tra candidati che mancano di requisiti di credibilità e che però sono capaci di rappresentare la nostra rabbia, la nostra frustrazione. Il cosiddetto voto di protesta.

Diceva ieri Giovannini nella chiesa sconsacrata dell’università che le preferenze degli elettori vanno in genere a quei politici che parlano alla pancia e non al cervello delle persone. E studi sulle campagne elettorali americane degli ultimi 50 anni arrivano a una conclusione, cioè che “non prestiamo attenzione a quel che non suscita in noi entusiasmo, paura, rabbia o disprezzo”. Per cui secondo le neuroscienze “più un messaggio è razionale meno è probabile” che piloti il voto. Reazione che ne induce un’altra altrettanto negativa, ovvero che i politici adeguandosi all’andazzo tendono a conquistare il cuore degli elettori senza occuparsi troppo della mente, perché se si occupassero della mente dei cittadini saprebbero di non avere uditorio. Ammesso che questo sia vero, possiamo ritenere che ci siano buone probabilità che lo sia, e ciò dovrebbe indurci a una prima conclusione, ovvero quella di abbassare il toni della protesta e delle urla sguaite contro la casta, perché quei signori che la compongono e che tanto odiamo sono lì perché li abbiamo scelti noi, non altri, e dunque siamo corresponsabili di quel che di male hanno fatto.

La seconda conclusione riguarda la grande responsabilità che ci assumiamo nell’assecondare una reazione irrazionale, rifugiandoci nella scelta protestataria, che si esprime sia con l’astensione che con il voto di liste antisistema, come quella dei grillini. Ma c’è un altro elemento da considerare. La domanda frequente che ci poniamo, per chi voto? è indotta oltre che dallo smarrimento anche dalla ricerca di una risposta all’idea che la scelta del nostro candidato, ovvero di quello che giudichiamo più spigliato, più sveglio, più simpatico, più bello, più giovane, più furbo o più ricco basti a ritenerlo capace di governare. Dovremmo invece cominciare a cercarne piuttosto uno antipatico, noioso ma adeguato. E nemmeno questo basterebbe, perché la guida di un paese non è cosa risolvibile da un buon politico ma da una buona politica. Espressione di volontà che si incontrano e non di obbedienza al guru di turno.