Ora come allora: la stessa rabbia, 20 anni dopo Tangentopoli

Poi uno dice che i partiti non sono credibili. Ci fanno la predica tutti i giorni dicendoci che viviamo al di sopra delle nostre possibilità e che bisogna essere parsimoniosi con il denaro pubblico, e che bisogna risparmiare, tagliare, fare sacrifici, anche a costo di perdere il posto di lavoro e insomma sanno loro come […]

Poi uno dice che i partiti non sono credibili. Ci fanno la predica tutti i giorni dicendoci che viviamo al di sopra delle nostre possibilità e che bisogna essere parsimoniosi con il denaro pubblico, e che bisogna risparmiare, tagliare, fare sacrifici, anche a costo di perdere il posto di lavoro e insomma sanno loro come si deve fare e poi si viene a sapere che basta un Lusi qualsiasi per portargli via una montagna di soldi e loro nemmeno si accorgono. Non vedono, non sanno. Nonostante lui fosse il tesoriere della Margherita, partito che pace all’anima sua non c’è più, ma quando c’era era una macchinetta per soldi, se è vero che non sapevano nemmeno che farsene di tutto quel denaro ricevuto come rimborsi elettorali e perciò lui, il Lusi, pensò bene di farlo sparire, 13 milioni, giusto per comprarsi un po’ di cose, tra cui un villone con parco e fontanona.

Insomma ci si può anche ridere su queste storie ma un modo peggiore per ricordare i venti anni da Tangentopoli non poteva esserci. Lo si poteva ricordare come fatto storico quel giorno del febbraio, era il 17, quando Di Pietro arrestò il mariuolo Mario Chiesa con una bustarella da 7 milioni, appena presa dall’impresa delle pulizie del Pio Albergo Trivulzio. Robetta in confronto ai 13 milioni di Luigi Lusi.

È amaro chiederci che cosa è cambiato da allora a ora, che cosa c’è di meglio e a che cosa è servito tutto quel tintinnar di manette che decapitò la classe politica di quella che fu chiamata la Prima Repubblica, supponendo che la Seconda sarebbe stata diversa. Si diceva allora che il sistema tangenti era dovuto ai costi della politica, perché i partiti loro malgrado dovevano in qualche modo trovare i finanziamenti per poter vivere. La vicenda di Lusi ci dimostra invece che i partiti ricevono oggi finanziamenti pubblici anche al di sopra delle loro spese effettive, al punto da indurre gli amministratori disonesti ad approfittarne. Così si è svolta la storia di questo ex tesoriere, che si è arricchito in modo disonesto e seguendo le orme, capitali all’estero e paradisi fiscali, di quegli evasori di cui la politica fa un gran parlar male.

Tutto questo è sconfortante. E ripenso al giorno in cui nel ’92 arrivai nella sede del Psi in corso Magenta a Milano, perché dovevo incontrare Giuliano Amato, che era stato appena nominato da Craxi commissario della federazione milanese travolta dagli scandali. Arrivai nel primo pomeriggio con un certo anticipo all’appuntamento e nell’attesa decisi di fermarmi davanti al portone, dove feci presto ad accorgermi che era stata una scelta imprudente perché venni scambiato per un dirigente del partito e il traffico si paralizzò quando gli automobilisti nel vedermi e anche quelli in moto o quelli che erano sul tram abbassavano i finestrini per gridarmi: «Ladro!». Per spiegare l’imbarazzante situazione Amato fece un parallelo ardito, disse che le tangenti erano state come la tassazione imposta dai conquistadores agli indios.

E oggi? Quel giorno, che rammento con una certa inquietudine, finì con un tassista che prima che salissi sull’auto mi chiese: «Non sarà mica socialista, perché in tal caso non la porto». Oggi non c’è la violenza di allora. Ma colgo analoga rabbia, gli stessi rifiuti e perfino la stessa caparbia scelta di voler essere ottimisti e di immaginare che ci possa essere un modo diverso di fare politica.

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