LA PRIMA volta che sono stato a Kiev trovavo strano che le coppie appena sposate andassero all’altare del milite ignoto a deporre garofani rossi. Berlinguer aveva dichiarato lo strappo da Mosca e ai delegati del Pci vennero accuratamente riservate le stanze peggiori dell’albergo. L’Ucraina era parte dell’Unione sovietica, ma se chiamavi russo un cittadino di Kiev puntigliosamente precisava di essere un ucraino non un russo. Andare a Mosca per far visita al Mausoleo di Lenin era un obbligo per il fervente compagno. Seguii il sindaco del Pci Gabbuggiani e approfittai del suo status per passare avanti ad una coda di almeno un chilometro arrotolata attorno al Cremlino in attesa di vedere il volto di cera di Vladimir.
La seconda volta che ho visto Kiev è stata quando ci fu il disastro nucleare di Chernobyl nel 1986. Chiesi una telefonata con l’Italia, era sabato pomeriggio. La signorina delle poste mi disse che me l’avrebbe passata il lunedì. Chernobyl fu un disastro che ci condizionò. I bambini non potevano più giocare sui prati per le ricadute radiattive giunte fino in Italia. Non potevamo mangiare l’insalata perché contagiata. A Chernobyl entrai nell’area proibita.

LE GUARDIE mi dettero un apparecchietto che mi avrebbe dovuto segnalare il livello radiattivo ma l’aggeggio non funzionava. Vidi case abbandonate e alberi neri, resi deformi dal cancro. Sembravano esseri che gridavano di dolore.
La terza volta che sono andato a Kiev è stato quando fu annunciata la rivoluzione arancione. Era opportuno seguirla in diretta nonostante fosse Natale. Rimasi quasi un mese ad aspettarla invano e per Natale mi regai un nastro isolante per pacchi con cui bloccai gli spifferi che entravano nella camera dalle finestre malridotte. Fu una gioia indicibile non sentire più il gelo e il fischio del vento entrare nella stanza.
Per passare il tempo leggevo “La guardia bianca” di Michail Bulgakov, lo scrittore ucraino de “Il maestro e Margherita”, che parlava del suo popolo contro i russi durante la guerra ai bolscevichi, tra cosacchi e armata rossa.

LA CRISI di oggi ha origini lontane nella storia della steppa. Troverete sempre qualche russo che vi racconterà la pessima fama che precedeva gli ucraini arruolatisi nei reggimenti nazisti autori di stragi di ebrei. Leopoli, 4 mila fucilati. Fu una decisione avventata quella dell’ ucraino Krusciov di regalare con un tratto di penna la Crimea a Kiev. Ma erano tempi in cui il comunismo pensava di essere immortale e di conquistare il mondo.
La crisi di oggi è l’ultimo capitolo di un pessimo vicinato, che trova pace solo quando i due vicini si ignorano. Lì accanto c’è la casa Europa, che al massimo chiede di non dare troppo fastidio: “Vogliamo dormire!”. Scrive Bulgakov che “tutto passerà, le sofferenze, i tormenti, il sangue, solo le stelle resteranno e allora perché non rivolgere lo sguardo alle stelle?”. Domanda troppo poetica per essere posta agli uomini.