La solita Italia

COME dice la canzone di Battisti: che anno è, che giorno è… Il 2014 o il 1992? E deprime la sensazione di vivere in un paese senza tempo. Dove non è neppure vero che tutto cambia perché nulla cambi, perché il potere è diventato così sfacciato da permettersi perfino che nulla cambi perché sia […]

 

COME dice la canzone di Battisti: che anno è, che giorno è… Il 2014 o il 1992? E deprime la sensazione di vivere in un paese senza tempo. Dove non è neppure vero che tutto cambia perché nulla cambi, perché il potere è diventato così sfacciato da permettersi perfino che nulla cambi perché sia ben chiaro a tutti, e sia monito per tutti che tutto deve perfettamente rimanere uguale a sempre, a cominciare dai ladri e dai corrotti. Suona perfino eufemistico chiedersi se si sia mai interrotto il filo della corruzione e del legame perverso tra politica e affari. L’arresto del Compagno G, ovvero di Greganti che fu implicato nella Tangentopoli Pci e dell’ex democristiano Frigerio, poi messisi al servizio di altri padroni, può suonare come una novità per gente come Renzi che all’epoca di Tangentopoli era poco più che un ragazzo ma uno come me, che in quei giorni era a Milano a seguire l’ inchiesta Mani Pulite, superata la prima sorpresa con un bonario: chi si rivede!, poi sprofonda nella depressione nera nell’accorgersi che tutto è rimasto tale e quale ad allora, anzi peggio, perché la corruzione si è fatta più sfacciata, più metodica, più organizzata. E con l’antimafia all’Expo stiamo perdendo la faccia di fronte al mondo.

 

CI CHIEDIAMO quando cambieremo e corriamo dietro le illusioni, le intenzioni direi, di volere un paese normale, dietro le illusioni che questo possa essere possibile affidandosi a generazioni che non abbiano nulla in comune con altre irrimediabilmente inquinate dall’immoralità, ci diciamo che questo voler diventare diversi merita sia riposto nelle mani di coloro che dicono: ce la possiamo fare, abbiate fiducia, un’altra Italia è possibile, non lasciatevi sopraffare dal pessimismo, dalla rabbia. Poi però una mattina ti accorgi che tutto è rimasto uguale a prima, che ci sono stati arresti di personaggi famosi o ignoti ma comunque tutti legati all’indecenza di sfruttare il denaro pubblico, ovvero raccolto con le tasse che abbiamo pagato, per dividerselo fra loro, per fare affari personali. In una mattina scopri che il solito noto con tanti altri si è venduto l’anima pur di arrivare allo scopo, il solito noto o ignoto che non ha vergogna nel dire: «Vi do tutti gli appalti che volete ma fatemi far carriera», rivolgendosi ai compari che hanno appoggi politici. Insomma una mattina ancora una volta ti accorgi, com’è successo in centinaia di altre mattine, che l’Italia è rimasta uguale a sempre. Ed è la stessa conclusione a cui arrivi leggendo una lettera, che nei giorni scorsi mi ha fatto avere Cristina Muti, splendida consorte del maestro, che l’ha trovata chissà dove. È una lettera scritta da Giuseppe Verdi all’amico senatore del Regno Giuseppe Piroli. «Il Governo — scrive Verdi — pensa ad aumentare le imposte, a far strade ferrate che non sono di prima necessità… È veramente uno scherno. Ma per Dio, se avete milioni, spendeteli a fare tutti i lavori ai fiumi prima che ci allaghino! Poveri noi, in che mani siamo!…O ambiziosi, o ignoranti. A me poco importa dei bianchi, dei rossi, dei destri, dei sinistri, ma vorrei degli uomini capaci e pratici. E ve ne accorgerete, quando non saremo più capaci di pagare le imposte».

Sono parole scritte nel 1879 ed è disarmante pensare che oggi diciamo le stesse cose di 130 anni fa. È l’Italia che non cambia mai.

 

di Giovanni Morandi