La fiducia e la fede

Non c’è bisogno di credere, nel caso in cui mancasse questo presupposto, per vedere una grande lezione politica nell’Enciclica che Papa Francesco ha firmato con il suo predecessore, così diverso da lui. La Chiesa ci ha offerto in questo caso un esempio che perfino in natura non trova pratica, prevalendo in essa il principio della […]

Non c’è bisogno di credere, nel caso in cui mancasse questo presupposto, per vedere una grande lezione politica nell’Enciclica che Papa Francesco ha firmato con il suo predecessore, così diverso da lui. La Chiesa ci ha offerto in questo caso un esempio che perfino in natura non trova pratica, prevalendo in essa il principio della sostituzione a quello della continuazione. Papa Francesco ha voluto invece affermare la scelta di dare una prospettiva temporale alla sua guida, ovvero guardare al futuro salvando il passato. Non sarebbe male facessero tesoro di questo metodo anche i nostri politici, che tendono invece a cercare il consenso fondandolo sulla curiosità per il nuovo anziché sulla responsabilità e il rispetto del conosciuto, quando questo risulti funzionale, proficuo e magari indispensabile alla sopravvivenza del nuovo.

Vedo poi, ma forse questo è solo l’effetto dell’avventurarsi su terreni non consueti, quel titolo dell’ Enciclica “Lumen fidei”, la luce delle fede, come qualcosa che ricorda quel che ha animato stagioni politiche molto laiche, forse temerarie e presuntuose ma piene di energia, quelle che si appellavano all’ ottimismo della volontà, ovvero alla fede nelle proprie capacità, alla convinzione che l’impresa si sarebbe realizzata per quanto difficile si presentasse.

Sarebbe bello che anche oggi potessimo essere animati dalla luce di questa fiducia, ma non la percepiamo a sufficienza. Poi c’è la questione del tempo, che è una nozione disperata e umanissima della vita e induce a sentirci vicini a questo Papa che è politico come Wojtyla ma ha per fortuna la forza della passionalità che gli deriva dalla sua natura latina. Francesco sente forte l’urgenza di realizzare i suoi propositi e di correre verso le soluzioni senza indugiarsi nel cammino per raggiungerle. Sulla nozione del tempo che delude perché promette ma non mantiene, ovvero accende speranze che si esauriscono in attesa infinite, sono crollate le ideologie politiche che indicavano albe raggianti.

Papa Francescoha fretta, si rende conto che anche per lui uomo il tempo non conceda sconti e perciò corre verso la fatica e non la evita. Questo tener conto del valore dell’urgenza è un’altra lezione per chi fa politica. Perché non serve solo voler fare ma serve altrettanto fare presto. Poi di Papa Francesco trovo grande la scelta di accettare le diversità, anzi la scelta antidogmatica di eleggere la diversità a ideale. Ovvero l’affermare il principio che l’uomo di fede deve essere consapevole, libero, meglio se sospinto da un indomito anticonformismo. Potrei ricordare che è un’antica aspirazione laica ma mi frena il pensiero di certi modelli attuali che meschinamente dicono banalità e pretendono perfino di imporle come ordini dispotici. «La fede», come leggiamo nell’Enciclica (e potremmo sostituire la parola fede con la parola politica) «non si impone ma dialoga con tutti». È un bel metodo che oggi la Chiesa fa suo e che dovrebbe essere irrinunciabile per uno Stato, che abbia dignità, forza e sapienza.

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