La battaglia di Berlino

  L’idea che per liberare l’Europa dai suoi disastri economici si debba conquistare Berlino può indurre a qualche suggestione e anche a tentazioni di condivisione ma è chiaramente una forzatura. Ancora più fantasiosa è la pretesa che dalla crisi si possa uscire passando da qualche esibizione spettacolare come può essere la pretesa di vedere affrontarsi […]

 

L’idea che per liberare l’Europa dai suoi disastri economici si debba conquistare Berlino può indurre a qualche suggestione e anche a tentazioni di condivisione ma è chiaramente una forzatura. Ancora più fantasiosa è la pretesa che dalla crisi si possa uscire passando da qualche esibizione spettacolare come può essere la pretesa di vedere affrontarsi in una sfida dal nostalgico odore di canonica brianzola, ovvero un braccio di ferro tra Enrico Letta e Angela Merkel.

Sappiamo già che vincerebbe lei ed è forse il caso di soffermarci sul perché avrebbe questo esito.

Tutti hanno un bel dire che la signora cristianodemocratica tedesca è una post comunista, che era una giovane pioniera rossa e che, come l’ha descritta Rainer Eppelmann, storico oppositore della Ddr, solo dopo che il Muro era ben caduto lei si decise a esultare unendosi agli altri tedeschi dell’Est. Possiamo dire tutto quel che vogliamo, ma oggi la Lady di ferro tedesca gode di un potere e di un consenso che non è paragonabile a quello di nessun altro premier europeo e dunque suggerire a qualcuno di affrontarla in una prova di forza equivale ad una istigazione al suicidio.

La verità è che i tedeschi danno prova di una compattezza nella difesa di interessi comuni che è una lezione che dovremmo apprendere e ripetere non solo noi italiani ma tutti coloro che sono nelle nostre stesse condizioni. Da noi invece la politica, anche con un cosiddetto governo di larghe intese, continua a essere minata da interessi di bottega che prevalgono su quelli generali e alla fine il vantaggio particolare inficia quello generale, tendenza questa, come ci hanno insegnato gli scorsi mesi, che si può chiamare in molti modi e dunque non solo Berlusconi ma anche a buon titolo Grillo, Renzi e qualcun altro. Al punto che risulta perfino normale arrivare all’aberrazione di gridare al colpo di Stato, sì, colpo di Stato, questo è il termine a cui ha pensato il comico succitato, solo perché il Presidente della Repubblica si preoccupa di traghettare il paese e il sistema istituzionale verso una riforma senza la quale non si riuscirà a superare l’attuale stallo, determinato da interessi contrapposti fra i due schieramenti che si ritrovano a governare insieme ma che inevitabilmente sono portatori di interessi, progetti e storie diverse.

L’editoriale de “Il Fatto quotidiano” ha bizzarramente concluso che «il vero problema di Giorgio Napolitano sono i giornali», forse scambiandolo per il problema che agita il leader del M5S più che l’inquilino del Quirinale. In questo vento di sano rinnovamento, qui sì che le bare sono maleodoranti, sono andati a rispolverare perfino il vecchio Licio Gelli, che quando si pesca nel torbido è un invitato d’obbligo, il quale Licio ci racconta che la riforma presidenzialista di oggi non è altro che la figlia di un disegno ideato da lui. Fino a che non ci libereremo di questi fantasmi e di tanti in malafede il problema non sarà liberare l’Europa da Berlino ma noi da noi stessi.