Inutili ma saggi

Entro la settimana i dieci saggi a cui è stata affidata la salvezza della legislatura dovrebbero dirci come salvare l’Italia, svelandoci segreti che non potrebbero risultarci del tutto ignoti come la necessità di una legge elettorale, l’opportunità di tagli alla politica e di stimoli all’economia. In assenza di notizie su che cosa abbiano già partorito […]

Entro la settimana i dieci saggi a cui è stata affidata la salvezza della legislatura dovrebbero dirci come salvare l’Italia, svelandoci segreti che non potrebbero risultarci del tutto ignoti come la necessità di una legge elettorale, l’opportunità di tagli alla politica e di stimoli all’economia. In assenza di notizie su che cosa abbiano già partorito e che cosa stiano ancora elaborando, registriamo con il dovuto rispetto per tutti e dieci una nostra intima impressione secondo la quale l’unico saggio che ci pare abbia detto cose sagge l’abbia dette per sbaglio quando ha confessato un suo personale disagio legato al sospetto di non fare qualcosa di veramente saggio. Parlo naturalmente del presidente emerito della Consulta, Valerio Onida, quando è caduto nella beffa telefonica della finta Margherita Hack di un programma radiofonico. Purtroppo il professore ha pensato da saggio ma non si è comportato conseguentemente perché avendo riconosciuto di avere un compito difficilmente risolvibile avrebbe dovuto trarne le conclusioni e dire: mi arrendo, cosa che invece non ha fatto. Forse preferendo rimanere per rispetto alla persona che di tanto onorevole, nonché inutile incarico lo aveva investito.

Degli altri saggi poco sappiamo, perché da par loro saggiamente si guardano bene dal parlare per non finire abbindolati da qualche burlone. E tanto tremore di uomini sapienti, che cercano di uscirne più onorevolmente possibile, la dice lunga su quali saranno i risultati che dobbiamo aspettarci. C’è da dubitare che Matteo Renzi possa avere mai avuto un qualche possibilità di finire in una così eletta compagnia, ma va pur riconosciuto che un po’ di saggezza il ragazzo l’ha dimostrata, quando ha detto cose alla Catalano, come che si va a votare per avere un governo e che non è normale se dopo le elezioni il governo non si formi e allora o si fa il governo o si torna a votare.

Concetti elementari forse pedestri, certamente disprezzati da chi pensa che la politica sia una cosa che riguarda solo lui. Non si può sapere che cosa ci diranno i saggi a fine settimana quando avranno completato le indicazioni da darci, ma abbiamo motivo di temere che gli stessi preziosi consigli saranno travolti da una politica poco interessata da tali argomenti e molto impegnata invece dal Toto Capo di Stato.

Non è un segnale da poco che a 40 giorni dal voto uno dei massimi leader del Pd, Dario Franceschini, abbia finalmente scoperto, sia pure usando espressioni un po’ ruvide, che «Berlusconi è il capo della destra e che ci piaccia o no con Berlusconi bisogna dialogare». Non è un concetto difficile, ma, strano a dirsi, Bersani non l’ha ancora capito.

Ci sono voluti 40 giorni per partorire questo topolino e ogni altro accostamento con il tempo impiegato per altri uffici è fuori luogo. Ma resta sommessamemte da osservare che se la Chiesa per uscire da un problema si è appellata a un Francesco, normale che la nostra politica abbia chiesto aiuto almeno a un Franceschini.

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