NON PERCHÉ ci sia un’attintenza tra questo periodo e quello del dopoguerra, ma in questi giorni mi è capitato di pensare a quando il capo del Pci, Palmiro Togliatti, allora ministro della giustizia, firmò l’amnistia che consentì ai suoi nemici, nemici veri non avversari politici, di uscire di galera o di non essere fucilati. C’era una motivazione superiore che ispirava quel gesto di clemenza, sebbene non trovasse alcun segno di condivisione da parte di chi la guerra l’aveva dovuta subìre e patire, e la motivazione era la pacificazione nazionale. Ricordo anche che Togliatti prese questa decisione da solo, senza coinvolgere la direzione del partito comunista o i suoi più stretti collaboratori. E non si trattò certo di una scelta facile, dal momento che tanti del suo partito ritennero quel colpo di spugna infamante e vergognoso al punto dal dare vita a tumulti popolari e scioperi generali, sia pure non durevoli. Così alla fine vinse lo Stato. Vinsero le indigeribili motivazioni della ragione e furono sconfitti gli impulsi dell’odio, che lacerava un paese uscito dalla guerra civile. Mi chiedo, questo solo mi chiedo, se il clima di odio che c’è oggi sia paragonabile a quello di allora e sono indotto a pensare che certamente no, oggi non c’è una violenza paragonabile a quella di allora.

MA purtroppo oggi non c’è un Togliatti capace di assumersi responsabilità gravi e definitive come seppe fare allora il capo dei comunisti nei riguardi di coloro che aveva combattuto. Constatare che manca un Togliatti significa osservare che nel piccolo mondo politico che ci riserva questa mediocre stagione della storia non c’è un’opinione che trovi spazio e che anteponga l’interesse comune a quello di parte. E non c’è sia a sinistra che a destra, perché a sinistra sappiamo delle lacerazioni che squassano il Pd e a destra si vedono iniziative sgangherate prese da persone che esistono solo perché vivono della luce riflessa di Berlusconi e che si illudono di poter continuare a brillare anche quando lui lascerà la scena. Errore. Penso a De Gasperi, Togliatti, Nenni. Indicatemi qualcuno di oggi, se ve ne viene in mente uno, capace di essere accostato ai nomi di ieri. A me non viene in mente nemmeno mezzo.
UNA COSA è certa, che non è vero quel che Berlusconi ripete, ovvero che qualunque sia il suo destino giudiziario questo non interferirà sul governo Letta e sulla politica. Lo dice perché lo deve dire ma è evidente che non sarà così, e basta guardare il calendario di questa estate per capire quanto l’agenda del governo sia dipendente da quella delle udienze della Cassazione che dovrà pronunciarsi.
Che cosa fare? Bisognerebbe, credo, pensare che la politica non tornerà a essere quello che deve essere se non si convincerà che le spetta il compito di trovare soluzioni e che non può delegare a nessuno questo compito e che dovrà convincersi che non ci sono soluzioni facili a problemi difficili ma sapendo cercarle saprà trovarle. E che non ci sarà vantaggio per qualcuno se non ci sarà vantagio per tutti. E che se non ci sarà vantaggio per tutti non ci sarà vantaggio per nessuno, perché assistere alla fine di Berlusconi al prezzo di affondare il Paese sarà ben magro bottino anche per i vittoriosi magistrati.

di Giovanni Morandi