IL SONNO dell’ambizione genera il nulla. Si potrebbe parafrasare così il nome all’acquaforte di Goya per definire l’effetto che ha sortito la finanziaria o legge di stabilità. Da un lato ha risvegliato i lamenti di coloro che hanno fatto della protesta il motivo conduttore della loro vita, dall’altro ha seminato la delusione in coloro che si aspettano sempre qualcosa di più di quel che ricevono e comunque hanno una visione messianica del mondo non si sa in virtù di che cosa. Dall’altro lato ancora ha intimidito coloro che non ne danno un giudizio negativo ma per non esporsi preferiscono il pavido silenzio neutrale di chi non approva né ostacola. Non possiamo dire neppure che la montagna abbia partorito il topolino perché manca la montagna e abbiamo solo topolini. Che cosa dunque possiamo concludere a proposito dei provvedimenti del governo, che pare abbiano raccolto solo il consenso del presidente Obama, non si sa se per autentica convinzione o per dovere di ospitalità verso l’amico giunto dall’Italia?

 

In realtà la legge di stabilità pare viziata da un’idea, molto improntata al buon senso e al più basso realismo, ovvero la necessità di passare la nottata, di cui i più ottimisti annunciano la ormai prossima fine, scelta però improntata ad interventi modesti, tanto per guadagnare tempo e poi godere dei vantaggi della ripresa quando arriverà. Un’impostazione che funzionerebbe se la causa dei nostri mali fosse interamente da attribuire alla crisi internazionale. Ma il fatto è che questa crisi si è aggiunta ai gravi problemi accumulati da una classe politica che da decenni è al di sotto delle aspettative e delle necessità, per cui quando e semmai tornasse la ripresa noi rischieremmo di azzerarne i vantaggi proprio per non aver pianificato quelle grandi riforme, che sono l’unico modo per uscire dal disastro. Ecco in che cosa il governo Letta avrebbe dovuto dimostrare più coraggio, o dovrebbe dimostrarlo, non nello scegliere il basso profilo ma nel guidare la riforma dello Stato, non foss’altro per misurare la tenuta di quelle che vengono temerariamente chiamate larghe intese. Non tutto è pregiudicato, se avessimo partiti e parlamentari capaci di ascoltare la voce del paese il passaggio parlamentare della legge potrebbe rappresentare l’occasione per darle quella forza e quel respiro di cui difetta. E infine mi chiedo che senso abbia se non quello di una miserrima ripetizione di un rito la miope e inutile proclamazione di uno sciopero generale.

di Giovanni Morandi