Governino a tempo

L’unica cosa che Bersani non doveva dire l’ha detta. Quando ha detto di aver vinto ma di aver perso. Da un punto di vista psicologico una bastonata sul suo elettorato e su se stesso. In un momento in cui invece bisogna compensare i numeri che mancano con la baldanza, magari anche con qualche furberia, comunque […]

L’unica cosa che Bersani non doveva dire l’ha detta. Quando ha detto di aver vinto ma di aver perso. Da un punto di vista psicologico una bastonata sul suo elettorato e su se stesso. In un momento in cui invece bisogna compensare i numeri che mancano con la baldanza, magari anche con qualche furberia, comunque mezzi che aiutino a tirare su il morale a terra. Del resto se è a terra la colpa è tutta sua, perché per mesi ci ha indicato una vittoria certa e travolgente, sfinendoci con le battutine sul giaguaro raccontate anche a quei tre milioni di italiani che sono rimasti senza lavoro. E pretendeva pure ridessero. Se l’aspettativa fosse stata un po’ più modesta oggi non ci sarebbe tanta depressione. Di certo non si può dire di essere arrivati primi ma di non aver vinto. Anche perché così dicendo ci si dimentica che in politica i numeri non sono tutto. Giovanni Spadolini, alla testa di un partito che aveva sì e no il 5%, governò l’Italia e anche bene. Ma per governare quando scarseggiano i numeri è richiesto un requisto: bisogna essere bravi e di carattere.

Non si può andare a dire che si è vinto ma si è perso soprattutto perché semmai Bersani pensasse anche lui alle elezioni anticipate la sua prossima dichiazione sarebbe di non essere arrivato primo e di non aver vinto. Se dovessimo andare al voto anticipato — e tutto va in quella direzione magari preceduto da un governino tecnico — è infatti probabile che il partito che avrà più di tutti da rimetterci sarà il Pd se continuasse l’emorragia di voti a vantaggio dei grillini. Ma stiamo scrivendo la cronaca con i se che è esercizio inutile, perché Bersani non pare capace di riprendersi dalla batosta, nel suo partito c’è un’aria che sicuramente non lo aiuta e anzi semmai cercano di incoraggiarlo a togliere il disturbo. Nella sinistra assistiamo a uno spettacolo già visto: a una gara di litigiosità tra profeti del giorno dopo. La storia d’Italia ce lo insegna: non c’è nessuno più bravo della sinistra a dividersi, magari incartandosi sulle questioni di principio.

Fare un governo che abbia il sostegno o anche una possibile convergenza con il Pdl, ovvero con Berlusconi, è una questione di principio? L’intelligenza risponderebbe di no, ma quel che stiamo vedendo in questi giorni ci dice che non si farà alcun governo politico né di larghe intese né di occasionali intese, perché significherebbe accordarsi con Berlusconi, a cui per magico tempismo sono aumentati i guai giudiziari. Che mettono in secondo piano il fatto che il Cavaliere rappresenta un partito di massa e radicato in quel mondo dell’economia e del lavoro, con cui qualunque governo si dovesse formare dovrà fare i conti se non si vorrà affossare l’Italia. Grillo quanto peserà nella ricerca di una via di uscita? Grillo vive l’ebbrezza del vincitore e dei nuovi, che si sentono superiori e diversi. Con il tempo capirà di non essere né diverso e né superiore, semplicemente nuovo. L’uomo però ha dismesso l’abito del comico e s’è dato una riordinatina ai capelli. E’ un buon segno. Diamogli il tempo di farsi anche una doccia. La politica (e non solo) ha i suoi tempi.

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