MANCANO sette settimane alle elezioni europee. Un tempo che può essere giudicato lungo o breve a seconda dei punti di vista. Breve se lo si pensa come durata reale, lungo se lo si rapporta al nostro paese dove per chi ha responsabilità di governo ogni giorno è lungo un’eternità. Per certi versi la situazione potrebbe apparire analoga a quella fortunatissima che capitò a Berlusconi dopo la sua vittoria nel marzo 1994. Quando si votò a giugno per l’Europa per lui fu un trionfo, perché gli elettori si esibirono con particolare destrezza in quell’antico esercizio di salire sul carro del vincitore. Di sicuro la situazione per Renzi è migliore di quanto lui stesso potesse ipotizzare quando ha cominciato la sua avventura di governo, perché in questo breve tempo ha dimostrato non solo di saper assumersi impegni e di rispettarli ma ha ricevuto anche importanti apprezzamenti internazionali nonché un non secondario sostegno che il Presidente degli Stati Uniti è venuto di persona a esprimergli a Roma. I sondaggi sono molto incoraggianti per Renzi, anzi di più, sono rassicuranti ma non per questo può dormire sonni tranquilli.

SETTE settimane sono un’eternità in un paese dove i rottamatori non sono quelli che si dichiarano tali ma quelli che hanno una certa inclinazione a distruggere quello che faticosamente viene costruito, vera e propria categoria politica, se non psichiatrica, molto frequente ovunque specie a sinistra. Quelli per capirci dell’io non ci sto per principio. Concetto non oscuro se si pensa che in Italia l’opposizione è guidata dal comico Grillo, e se nell’aver rilevato il ruolo di comico si leggesse una qualche attinenza anche al tipo di opposizione che fa, ciò non lo si consideri casuale. Comico nel senso di sgangherato, preconcetto, pregiudiziale, con l’esclusiva scopo di demolire quel che viene fatto, fedele alla linea del tanto peggio tanto meglio, non dissimile alle fantasticherie dei nostri secessionisti mona che pensano di fare la guerra con le ruspe. Aggiungiamo che l’altra mina vagante riguarda Berlusconi che a metà di questa settimana sarà destinato agli arresti domiciliari o ai servizi sociali e che rappresenterà un caso senza precedenti di leader politico condannato per una questione che aveva già avuto due assoluzioni e comunque non libero di poter rapresentare nella campagna elettorale europea un partito che è il secondo o il terzo e che se la batte con quello di Grillo, che pure non si nega occasione per disporre di tutti i media possibili. In un paese dove il capo dell’opposizione è Grillo e l’altro sta per essere affidato al giudice di sorveglianza, più i sussulti secessionisti in una delle parti più imporanti del paese, scossa più che dai presunti irredentisti dai consensi alla protesta antistatale recentemente espressa in un sia pur strampalato referendum, il primo ministro può forse permettersi di essere tranquillo, sebbene raccolga consensi e risultati? Per niente.
Definirsi rullo compressore più che una minaccia ha l’aria di essere un incoraggiamento. E se questo è il quadro, ridurre la battaglia politica tra conservatori e riformisti, tra chi è con Renzi e chi è contro di lui può sembrare sommario e inadeguato ma è un’inevitabile semplificazione per giocare d’attacco. E sperare di vincere, sperando in Dio.