Discorsi a vanvera

QUANDO le parole perdono di significato, perde di significato anche chi le pronuncia. E’ da tempo che Bossi non incanta più, non appassiona, non diverte, e sempre più spesso imbarazza e induce a stendere veli pietosi. Ma ci vuole una bella fantasia per dire che la frase «Monti rischia la vita, il Nord lo farà […]

QUANDO le parole perdono di significato, perde di significato anche chi le pronuncia. E’ da tempo che Bossi non incanta più, non appassiona, non diverte, e sempre più spesso imbarazza e induce a stendere veli pietosi. Ma ci vuole una bella fantasia per dire che la frase «Monti rischia la vita, il Nord lo farà fuori» è «una metafora politica», come ha scritto la Padania. Si può essere tolleranti quanto si vuole, indulgenti, magnanimi come crocerossine ma quella frase è una minaccia non una metafora. E’ ridicolo si dica che Bossi voleva dire un’altra cosa. Se non fosse stata una minaccia sarebbe stato un avvertimento. Non voleva essere né l’una né l’altro? Allora se così è vuol dire che Bossi parla a vanvera. Sono passati i tempi in cui la Lega rappresentava il volto popolano di un’Italia arrabbiata ma pulita. Non è un caso che alla sparata di Bossi faccia da controcanto l’ultima cronaca giudiziaria in cui un alto esponente leghista, come il presidente del consiglio regionale della Lombardia, Davide Boni, viene indagato per tangenti. Una volta la Lega ce l’aveva con Roma ladrona. Ora è diventata la paladina nella difesa della Casta e dei suoi vitalizi. La riconoscete voi? Io no. Chi non capisce quando è arrivato il momento di uscire di scena si condanna da solo alla rovina. O al ridicolo.

Le parole come le azioni hanno una loro esattezza, un loro significato, quando questo si perde vengono a mancare le condizioni minime del confronto. Bossi non rappresenta se stesso ma il suo elettorato, che dovrebbe avere diritto ad un portavoce dotato di un rapporto responsabile con il lessico. Qualcuno difende l’Umberto dicendo che si è sempre comportato così. Non è vero. Che l’abbia sparate grosse tante volte è vero come la volta in cui si paragonò al Papa e disse: «Mi rivolgo a Giovanni Paolo II da patriota padano a patriota polacco». Altrettanto vero è che sulle parole inciampa senza volere come quel parlamentare che aveva il paté d’animo così lui in un comizio ha detto: «In Russia gli oppositori li mandano nel gulash», volendo intendere gulag e non la zuppa ungherese. O come quando intervistato dal Tg1 ha assicurato solenne che la «separazione della Padania dall’Italia sarà consessuale» ma voleva dire pacifica e non decisa in assemblea. I tempi sono cambiati e chi non l’ha capito resta fuori dal gioco. Tralasciamo i gestacci, le corna con le dita e altre amenità, mestamente non resta che constatare che alla violenza del linguaggio corrisponde una volgarità nel comportamento, che è mancanza di rispetto prima ancora che verso i suoi bersagli, verso quegli elettori a nome dei quali Bossi parla. La Lega merita di meglio e ha di meglio.