Debole tra deboli

ALL’INSEGNA del poco gratificante “mi piego ma non mi spezzo” anche questa volta ce la farà il governo Letta a condurre in porto la manovra, ovvero la legge di stabilità, che nella sostanza e nella forma è diventata una metafora del governo stesso. Nel senso di programma, a cui manca il men che minimo barlume […]

ALL’INSEGNA del poco gratificante “mi piego ma non mi spezzo” anche questa volta ce la farà il governo Letta a condurre in porto la manovra, ovvero la legge di stabilità, che nella sostanza e nella forma è diventata una metafora del governo stesso. Nel senso di programma, a cui manca il men che minimo barlume di prospettiva, che non esce dall’orizzonte di un cortile, che non può costituire premessa per alcuna ripresa o cambiamento significativo. Pare che gli emendamenti che sono stati presentati alla legge del governo siano oltre tremila, in buona parte della sinistra. E questo la dice lunga su un governo che ha all’interno della maggioranza i suoi più strenui oppositori. E questo spiega anche che nonostante possa dirsi pomposamente di larghe intese, in realtà è di intese anguste e fragili e dunque tipiche di un governo debole, che al massimo potrà dar prova di saper campare.

E LO SI DICE con il rammarico che la constatazione comporta ma allo stesso tempo con senso dell’onestà e della realtà che il giudizio implica, dopo aver atteso a lungo che il buon Letta — e continua a rimanere un buon Letta — potesse dar prova di saper fare meglio di Monti e degli altri che lo hanno preceduto. Speranza inutile. Dopo sei mesi sono rimaste poche possibilità che questa svolta possa avvenire per colpa di un governo debole, che governa in modo debole, che è sorretto da partiti deboli, che rapresentano un paese debole anzi esangue, che avrebbe bisogno di ben altro. Di altre cure. Ora se così è, rimane francamente un mistero come un governo di questo tipo possa riuscire a varare la riforma elettorale, su cui la maggioranza è divisissima, riforma che è la condizione senza la quale nessuno potrà pensare di sciogliere in modo anticipato la legislatura, come ha detto il Presidente della Repubblica. E questo lo si dice con il conforto che accompagna il constatare non disprezzabili segni di ripresa, nonostante la mancanza di un’azione di sostegno da parte del governo.

IL QUADRO si chiude con un non minore sconfortante bilancio di quel che accade nei partiti, sia nel Pd logorato da un’estenuante marcia nel deserto che dovrebbe condurlo ad un rinnovamento di cui ancora non si intravedono i contorni sia dentro il Pdl-Forza Italia, monopolizzato dalla questione della fedeltà a Berlusconi tra fedeli e traditori, falchi e colombe, lealisti e governativi, insomma i soliti quattro gatti, che aspettano il funerale politico del leader e che sono ben diversi da quelli che con lui fondarono Forza Italia.

Adriano Olivetti, figura molto celebrata in questi giorni, imprenditore non solo bravo a chiedere ma a dare, arrivò a formarsi un senso di profonda sfiducia nei partiti al punto da immaginare una democrazia senza di essi. Approdo impossibile ma significativo di un pessimismo, di una delusione, di una rabbia, di una divisione tra politica e cittadini che avvicina i suoi tormenti e anche i suoi anni ai nostri.