C’è voto e voto

IL VOTO di oggi è un buon test a 90 giorni dalle elezioni politiche di febbraio. Un voto bis che ci dirà se è sempre inverno o se, a parte il freddo, sono spuntati germogli di primavera. Sarà dunque un test importante e non affatto trascurabile per il governo Letta. Se ci è consentito fare […]

IL VOTO di oggi è un buon test a 90 giorni dalle elezioni politiche di febbraio. Un voto bis che ci dirà se è sempre inverno o se, a parte il freddo, sono spuntati germogli di primavera. Sarà dunque un test importante e non affatto trascurabile per il governo Letta. Se ci è consentito fare una previsione, come se ne potrebbero fare mille altre, potrebbero esserci segni di cambiamento, perché nell’opinione pubblica si hanno flebili riscontri di fiducia o almeno di voglia di averne, che è già qualcosa. Si avverte un approccio meno aggressivo e più selettivo con la politica, atteggiamento che potrebbe essere la premessa di una volontà per tentare di ricostruire, obiettivo imprescindibile che si può raggiungere solo a condizione di lavorare insieme in una comunione di intenti e di impegni. Almeno questo messaggio è passato attorno al governo Letta, che raccoglie un favore incoraggiante, sebbene tanti gli chiedano più energia e meno timidezza.

Poi c’è il caso Bologna che è un altro discorso. Perché, lo diciamo a quelli che non lo sapessero, oggi a Bologna si vota per decidere se le scuole dei preti debbano essere chiuse o se invece possano continuare a rimanere aperte. Alla fine il senso è questo.

DICIAMO subito che faccio parte di quella categoria di italiani, che non ha bisogno di lezioni di laicità (ne sono già ultraconvinto), tanto meno ha bisogno di lezioni da quelli che hanno promosso o sostengono (Sel e Movimento 5 Stelle) questo referendum, non vincolante, ma pur sempre sbagliato. La ragion d’essere di questo referendum, che ha acquisito una valenza nazionale, è di tipo ideologico e non ha senso, perché procura un danno alla scuola pubblica quanto a quella privata e soprattutto colpisce quelle famiglie nelle quali i genitori non hanno nessuno a cui affidare i figli. In un Paese che ha altro a cui pensare, che è in ginocchio e che sta cercando faticosamente di ritrovare un minimo di coesione per poter evitare il peggio, oggi si vota su un quesito che vorrebbe dividerci, fra l’altro in modo trasversale, perché chi voterà le ragioni dell’esistenza della scuola parificata non lo farà per una scelta di campo politica ma perché guarda all’interesse delle famiglie e dei bambini.

VA DA SÉ che l’esclusione dei fondi alle parificate riguarda anche le scuole non cattoliche, quelle cosiddette laiche, che sono una minoranza ma pure ci sono. Perché la bella idea che ha mosso i promotori del referendum si basa su questo paradosso: o si trovano i fondi per aprire decine di nuove scuole pubbliche o si lasciano i figli per strada. Alla faccia della tolleranza e del fatto che i fondi che ricevono le parificate — stiamo parlando di scuola per l’infanzia — sono un prezzo ampiamente inferiore al vantaggio che il sistema scolastico integrato assicura. Lo stesso che funziona e che anzi dà ottimi risultati nella sanità, per esempio.

IN NOME di un impegno che come giornale ci siano sempre presi, per difendere i principi della tolleranza, per difendere l’integrità delle nostre città contro ogni pericolo di ulteriore disgregazione, oggi ci schieriamo e lo diciamo chiaro e tondo.

 

di Giovanni Morandi