L’ALLUVIONE è un veleno che rimane nelle vene, anche quando è passata. L’uomo che ha avuto la casa sott’acqua indica con il dito dov’è arrivato il Secchia, un metro da terra, bisogna avvicinarsi al muro per vedere la gora quasi invisibile lasciata sulla parete. Tra un po’, anzi tra molti mesi, quel muro si asciugherà, poi si riempirà di bolle che si gonfieranno, poi l’intonaco cadrà a pezzi, poi bisognerà rifarlo. L’acqua ammorba. Entra nelle ossa, fa più male di quanto non si possa capire. I mobili sono da buttare, i macchinari da buttare, gli elettrodomestici da buttare, le auto da buttare. Ho conosciuto a Firenze nel ’66 quanto l’alluvione sia capace di far del male.
Per questo motivo ho voluto vedere da vicino il disastro. Nel dubbio di averlo sottovalutato finora o per non sopravalutarlo. Qualche giornale ieri titolava: “E’ peggio del terremoto”. Balle inutili. Ma in questi disastri le vittime hanno bisogno non solo di essere aiutate, devono anche avere la convinzione di esserlo. Devono non solo essere ma credere di esserlo. Così sono andato a vedere, sono tornato in questa terra martoriata dell’Emilia, martoriata è esagerato?, diciamo tormentata, prima dal sisma poi dall’acqua.
Per quanto si possa dire che l’area questa volta è più piccola di quella del terremoto del 2012 poco cambia per le migliaia di emiliani, abitanti, agricoltori, imprenditori, industriali, artigiani, commercianti che hanno dovuto subire prima le scosse della terra poi la furia dell’acqua.
Arrivo davanti alla falla che ha affogato questo pezzo di Emilia a metà mattina, code lunghe di camion trasportano fango e terra che viene scaricata dove si è aperta la voragine. La forza dell’acqua si vede dalle ringhiere piegate come fuscelli, dai muri abbattuti. Anche in passato Bastiglia è finita sott’acqua?
«No, mai», risponde una donna che racconta di non aver mai visto nessuno a controllare la sponda,
a fare lavori di rinforzo dell’argine. Fa un sorrisino quando le chiedo se crede che la colpa sia delle nutrie, come hanno detto in un primo tempi i «tecnici». Con saggezza risponde che avranno fatto danni anche le nutrie ma la prima colpa è di chi ha minato l’assetto ambientale.
Se questi disastri prima non sono mai accaduti e ora sì ci sarà pure un motivo.

PER LE STRADE gli alluvionati svuotano le case, i negozi, ammassano mobili, armadi, sedie, masseriezie di ogni tipo lungo la strada. Come se la città fosse diventatata una grande discarica. Ma la lena con cui lavorano per riparare i danni e ai danni consente anche di riconoscere che l’aiuto c’è, che l’organizzazione è buona, efficiente, con i vigili che controllano la chiusura dei ponti e delle strade per evitare curiosi che provocherebbero intralci, in modo che i campion possano portare via i cumuli di cose alluvionate, che le ruspe scavino. Tutto si sta svolgendo con serenità emiliana.
La chiesa è pericolante dal 2012, ci sono campanili e capannoni crollati, ci sono case trasennate da allora. E ora c’è il fango dell’alluvione che ha ricoperto strade e case. Bisogna ripartire daccapo. Ripartire da zero per la seconda volta. Scoraggiarsi non serve. Il Carlino farà di tutto perché la forza di queste persone non si incrini. Saremo sempre vicini a loro, ora come lo fummo allora. È un impegno che rinnoviamo.