POCHI se lo ricordano, ma, tra pochi giorni (il 22 marzo), sono vent’anni dall’uscita della “Voce”, il quotidiano fondato da Indro Montanelli dopo il suo divorzio traumatico dal “Giornale” di Berlusconi. Vorrei ricordare quella straordinaria avventura del toscanaccio, tentata a quasi 85 anni, perché è stata unica nel panorama editoriale per quanto sfortunata. Montanelli aveva, infatti, capito quello che oggi tutti sappiamo: un giornale, per essere veramente indipendente, ha bisogno di un editore puro, cioè un imprenditore che non abbia altri interessi economici o politici (è oggi il caso, appunto, del nostro Quotidiano Nazionale).

NON AVENDOLO, allora, trovato, Cilindro optò per una “public company”, cioè una società ad azionariato diffuso in cui nessuno possedeva il controllo della società editrice. All’insegna del motto “il nostro padrone è il lettore”, il giornale ebbe, all’inizio, un successo incredibile (il primo giorno vennero vendute 500 mila copie) ,mapoi i vecchi lettori montanelliani abbandonarono la “Voce” perché si sentirono traditi e l’avventura ebbe breve durata. Tra l’altro tanti azionisti se la dettero a gambe levate nel timore di mettersi contro il Cavaliere appena diventato premier: non c’era, evidentemente, spazio per una destra liberale.

HA RICORDATO il vecchio direttore: «Purtroppo aveva ragione Prezzolini quando sosteneva che gli italiani sono allergici al liberalismo e a tutti quei valori che costituiscono il patrimonio morale di un popolo e il fondamento del suo civismo». Il giorno della chiusura, il 12 aprile del ‘95, Montanelli pianse davanti ai suoi “ragazzi”: «Avevo perso e la sconfitta, anche se nobile, era dolorosa, soprattutto per gli 80 giornalisti che, seguendomi nella scialuppa di salvataggio, avevano fatto naufragio».

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