Una certezza tra tanti dubbi

«Oggi la Lombardia è la quarta regione d’Italia più contaminata dalla mafia, dopo Sicilia, Calabria e Campania. Più ancora della Puglia. I partiti hanno una grande responsabilità: non devono guardare in faccia a nessuno e imporre regole severissime per evitare che, nelle proprie fila, possano trovare posto elementi collusi, in qualche modo, con la mafia, […]

«Oggi la Lombardia è la quarta regione d’Italia più contaminata dalla mafia, dopo Sicilia, Calabria e Campania. Più ancora della Puglia. I partiti hanno una grande responsabilità: non devono guardare in faccia a nessuno e imporre regole severissime per evitare che, nelle proprie fila, possano trovare posto elementi collusi, in qualche modo, con la mafia, la camorra o l’ndrangheta. Su questa linea non transigo».  Chi mi ha detto queste cose nel 2011, seduto su un divano del Transatlantico alla Camera, è stato il nuovo presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni. Bobo era, allora, ministro dell’Interno prima della Cancellieri, la nuova “lady di ferro” oggi proiettata verso il Quirinale. Aveva le idee molto chiare sulle infiltrazioni mafiose e, da domani, potrà aggredire direttamente l’emergenza criminalità dal Pirellone.

Al di là dei meriti di Umberto Ambrosoli, un candidato autorevole e molto affidabile, che merita ampiamente l’onore delle armi, sono sinceramente contento per la vittoria del segretario (in uscita) leghista perché ho avuto modo di apprezzarne la serietà, la determinazione e l’impegno. Di questi tempi, considerando i precedenti della Casta regionale e l’eclissi di sole nell’ultimo scorcio dell’intramontabile Formigoni, il successore del Celeste può costituire una buona base di partenza per i lombardi che cercano di voltare pagina. Del resto, sul conto di Maroni posso davvero scommetterci perché l’avevo conosciuto già diversi anni prima, quando era ministro del Welfare, attraverso un amico comune: Marco Biagi, il professore emiliano ucciso dalle Brigate rosse sotto casa, a Bologna, il 19 marzo del 2002. Maroni era a lui profondamente legato e, a differenza di altri politici, ha cercato sempre di ravvivare nella nostra memoria la figura del giuslavorista scomparso. Ecco perché sono convinto che Bobo non ci deluderà. Dovrà agire su diversi fronti: oltre alla moralizzazione della politica e alla lotta alla criminalità organizzata, dovrà impegnarsi per cercare di consolidare una ripresa che ancora non c’è e di ridare smalto al “made in Lombardia” tentando, in qualche modo, di mettere in pratica ciò che teorizza da tempo con il federalismo: che, cioè, i soldi pagati dai lombardi con le tasse restino, per una buona fetta, da queste parti. C’è da chiedersi come mai Giuliano Pisapia era riuscito, nel 2011, a sopravanzare Letizia Moratti, primo cittadino uscente di Milano, mentre Ambrosoli, che pure poteva sfruttare l’”effetto-Formigoni” ha perso il duello con Maroni, nonostante la “débacle” di Albertini. La ragione è semplice: lo sfidante di Bobo è un giovane professionista che proviene dalla cosidetta società civile senza avere fatto la gavetta: fino a qualche tempo fa, non pensava neppure di scendere in campo. Il caso del sindaco è diverso: lui aveva alle spalle una solida esperienza politica. La differenza è tutta qui.

L’esito del voto in Lombardia, da sempre ago della bilancia sullo scacchiere italiano, dà comunque una certezza e, di questi tempi, non è poco: se è vero che il risultato delle elezioni politiche – con il passo falso di Bersani, la sorpresa di Berlusconi, lo smacco di Monti e il trionfo di Grillo – ha creato gravi problemi di governabilità, subito misurati dallo “spread” che sale e dalla Borsa che scende e accentuati dalle dichiarazioni di ieri del segretario pd pronto a dire no alla “Grosse Koalition con il centrodestra -, il risultato delle Regionali in Lombardia dovrebbe, invece, dare qualche certezza e speranza. Tenendo conto che la regione ha avuto, sempre un ruolo di traino sullo scenario italiano, l’augurio è che da Milano si possa sul serio ricominciare anche sul piano della stabilità politica.

giancarlo.mazzuca@ilgiorno.net