Un sabato qualunque

MILANO si è svegliata, un sabato mattina qualunque, in un agghiacciante incubo, come certi brutti sogni, tra le ombre della notte, che ti restano impressi nella mente anche quando ti svegli. Ti alzi, in fretta, per cominciare una nuova giornata di lavoro, uguale a tante altre, e ancora non sai che il destino ti aspetta […]

MILANO si è svegliata, un sabato mattina qualunque, in un agghiacciante incubo, come certi brutti sogni, tra le ombre della notte, che ti restano impressi nella mente anche quando ti svegli. Ti alzi, in fretta, per cominciare una nuova giornata di lavoro, uguale a tante altre, e ancora non sai che il destino ti aspetta con un piccone in mano, brandito da un clandestino sconosciuto, in quella strada familiare che percorri a passi veloci, davanti al solito bar per l’immancabile caffé d’inizio giornata. I milanesi corrono sempre, con gli occhi bassi, concentrati sulle cose da fare, ma non s’accorgono, forse, che la loro città, la più internazionale tra le metropoli italiane, è sempre più percorsa da rivoli di follia che si insinuano, profondamente, nello sfilacciato tessuto urbano, tra emarginati privi di un lavoro, immigrati pieni di rabbia, uomini senza speranze o, anche, tra persone apparentemente felici. Non è la prima volta che succedono fatti così sanguinosi e terribili da queste parti. Ricordo la signora filippina, massacrata di botte da un ex-pugile, senza un perché, a due passi dal centralissimo corso Buenos Aires, o il giovane di buona famiglia che, in zona Fiera, sparò sui passanti che gli capitavano a tiro. Nulla di nuovo sotto il sole meneghino, dunque: i folli assassini c’erano, i folli assassini ci sono.

Ma avverto, comunque, negli ultimi mesi, un’incredibile escalation di inspiegabile violenza che, anche come direttore di giornale, mi preoccupa, mi terrorizza, a cominciare dai casi delle donne sfregiate. Cosa sta succedendo? Si parla tanto delle spinte eversive che la disoccupazione e l’incertezza economica del domani potrebbero creare. Vero, verissimo. Ma mi sembra che queste angosce e depressioni legate alla precarietà della situazione italiana, producano follie singole, del tutto imprevedibili e sconvolgenti. Sembra quasi che, in certe menti, la drammaticità del momento finisca per accendere gesti criminali ed omicidi: il caso di Preiti, che spara davanti a Palazzo Chigi, e del ghanese che ha preso a picconate, ieri mattina all’alba, i passanti nel quartiere Niguarda, sono drammatici nella loro insensatezza.

E, come uomo della comunicazione, mi chiedo fino a che punto i mass media facciano da megafono a simili fatti e finiscano, forse, per favorire un assurdo spirito d’emulazione. Difficile per le forze dell’ordine prevenire, e in qualche modo contenere, una simile anomala ondata di criminalità. Il picconatore africano aveva richiesto, nel 2011, asilo politico al nostro Paese, gli era stato negato, ma continuava a girare indisturbato per le strade l’Italia grazie a un ricorso contro il provvedimento che lo ha messo al riparo dall’espulsione. Perché tali lungaggini? È la domanda che ci facciamo in queste ore. È vero, infine, che l’uomo era stato già identificato a Milano, appena un mese fa, durante un normale controllo di polizia? Non vorrei che questo gravissimo episodio si traducesse, adesso, in una ventata di razzismo contro gli stranieri che vivono nella nostra regione: sarebbe il modo peggiore di reagire alla follia omicida di un singolo. Mi piacerebbe, però, che il ministro dell’integrazione, la congolese Cécile Kyenge, intervenisse sull’emergenza immigrazione in Lombardia con la stessa (improvvida) sollecitudine dimostrata nel chiedere, pochi giorni fa, la cittadinanza italiana per i figli degli extracomunitari nati nel nostro Paese. Non scateniamo altre assurde battaglie: dobbiamo, infatti, riconoscere che il malessere e la follia di questi giorni sono diffusi a macchia d’olio, senza distinzione alcuna tra razze o nazionalità. Si uccide così, in preda a un impulso che è difficile spiegare, cittadini del nulla, nel tramonto di ogni umanità.

giancarlo.mazzuca@ilgiorno.net