Un professore tagliato a fette

NEI GIORNI CAMPALI delle elezioni presidenziali, Romano Prodi ha scelto la soluzione migliore: se ne è andato in Africa, nel Mali, come inviato speciale dell’Onu per il Sahel. Lontano da tutti e da tutto: l’unico contatto con Roma sono stati gli sms che, a raffica, gli mandavano, in particolare, Sandra Zampa, la sua portavoce dai […]

NEI GIORNI CAMPALI delle elezioni presidenziali, Romano Prodi ha scelto la soluzione migliore: se ne è andato in Africa, nel Mali, come inviato speciale dell’Onu per il Sahel. Lontano da tutti e da tutto: l’unico contatto con Roma sono stati gli sms che, a raffica, gli mandavano, in particolare, Sandra Zampa, la sua portavoce dai tempi di Palazzo Chigi nonché deputata, e Rosy Bindi. Dal tardo pomeriggio, ora italiana, il Professore ha, così, saputo che non sarebbe passato alla quarta votazione andando, anzi, molto al di sotto delle previsoni. Non è arrivato neppure a “quota 400” perché ha dovuto subire il fuoco amico di un centinaio di deputati del Pd che ha preferito votare D’Alema e, soprattutto, Rodotà in grado di ottenere molti più consensi del pacchetto assicurato dai grillini. E a questo punto è subentrata inevitabile la decisione di ritirare la propria candidatura. Perché anche Prodi è stato sacrificato, dopo Marini, sull’altare dei giochi sotterranei del partito di Bersani che, sempre più preda delle convulsioni interne, hanno portato all’ annuncio delle dimissioni dello stesso segretario. È tutto da rifare, dunque, con una sola certezza: l”habemus Papam” è molto sofferto e incerto a conferma, ancora una volta, come persino la Chiesa, nel suo secolare immobilismo, è più veloce e rapida di noi nel prendere le gravi decisioni.

ANCHE perché la scelta del Capo dello Stato non servirà certo a sciogliere i tanti nodi sul tappeto. Sappiamo tutti che Prodi avrebbe finito per dividere ancor più il centrodestra, con il centrosinistra, un vero e proprio “vallum Hadriani”. D’altra parte pure la scelta di Marini aveva provocato divisioni nello stesso Pd. Il compito del successore di Napolitano sarà quasi proibitivo: portarci fuori dal guado, cercando di superare l’impasse istituzionale (sono trascorsi 54 giorni dalle consultazioni di febbraio) con una crisi incalzante e prospettive ancora più buie.

COME USCIRE DAL VICOLO CIECO? Le possibilità di manovra si stringono sempre più mentre nel Pd si consuma la notte dei lunghi coltelli con Rosy Bindi che ha dato le proprie dimissioni da presidente del partito “per prendere le distanze dalle responsabilità nella cattiva gestione del partito”. O si ritorna, paradossalmente, sul nome di Marini che avrebbe, comunque, l’appoggio del centrodestra. O tutti convergono sul campione a Cinque Stelle, Rodotà, che già ieri sera è andato molto meglio delle previsioni.

Quale di queste strade appare la più praticabile? Sinceramente, è difficile scegliere anche se l’opzione Rodotà acquista consensi con il passare delle ore. Ma, tra i due litiganti, potrebbe essere la volta buona di una donna capace di mettere tutti d’accordo: Annamaria Cancellieri, ministro dell’Interno nel governo Monti, che già ieri si è difesa egregiamente con l’appoggio della Lista Civica. Sperando sempre che il Pd non commetta un altro errore gettando nell’arena un nuovo candidato come D’Alema. Situazione sempre più aggrovigliata, dunque. In un libretto di trent’anni fa, Prodi scrisse che non bisognava prendersela con l’Europa che diventa un comodo alibi per chi non ha saputo affrontare i nostri problemi interni. Il professore emiliano aveva ragione: se siamo messi così male, non è certo colpa di Bruxelles e neppure della Merkel. Prendiamocela con noi stessi.

giancarlo.mazzuca@ilgiorno.net