SPESSO E VOLENTIERI ho avuto la conferma che certi uomini, sopravvissuti ai lager tedeschi, a parte la grande voglia di vivere, siano usciti dalla terribile esperienza incredibilmente rafforzati nel loro carattere. Uno di questi era Tonino Guerra che non ha mai smarrito il suo humor felliniano. Appena tornato in libertà, in Germania, disse pressappoco così: «Mi sono accorto, proprio accorto, di essere uscito dal campo di concentramento, quando, per la prima volta dopo tanti anni, non ho più avuto il desiderio di mangiare una farfalla». Un altro di questi personaggi unici è scomparso ieri mattina: si chiamava Luciano Foglietta, anche lui ultra-novantenne. Era il decano dei giornalisti romagnoli (ma quando era nato, nel 1922, il suo paese d’origine, Santa Sofia, apparteneva alla provincia di Firenze) e, soprattutto, un grande compagno di lavoro: con lui ho scritto “Sangue romagnolo” che, nel 2012, ha vinto il premio Acquistoria mentre, con mio fratello Alberto, è appena uscito “Mussolini e Nenni”. Sulla sua esperienza in un lager in Cecoslovacchia, pubblicò una bellissima testimonianza, “Stalag 4 B”. Due anni di stenti, trascorsi a scavare in una miniera di bauxite con un ricordo agghiacciante: «Mangiavamo in sei un pane raffermo fatto di farina e di segatura e ognuno di noi si girava dall’altra parte, mentre addentava il suo pezzo, altrimenti il compagno glielo avrebbe strappato di bocca». Quando era stato liberato, nel 1945, pesava a malapena cinquanta chili. Poi si tuffò in mille attività, con un’incredibile voglia di fare, e solo più tardi, nel 1958, divenne cronista. Raccontava che il lavoro lo assorbiva così tanto da non lasciargli neppure il tempo per sposarsi: si consolava con la macchina da scrivere. È stato un maestro: di vita e di giornalismo. Lo rimpiangerò. [email protected]