SPESSO CI RIEMPIAMO la bocca di parole inglesi un po’ oscure che, forse, proprio per la loro incomprensibilità, sono di gran moda. È il caso del termine “gender” che è l’insieme di teorie amate dall’attivismo gay e dal femminismo radicale per cui il sesso sarebbe solo una costruzione sociale. Insomma, essere uomo o donna diventa un optional. Dopo le polemiche divampate di recente attorno alle dichiarazioni di Dolce e Gabbana, anche il Papa ha sottolineato la necessità di riscoprire la famiglia: Francesco, parlando a Napoli, ha ribadito che l’ideologia del gender è un abbaglio della mente umana, subito seguito dal cardinale Bagnasco che è stato altrettanto chiaro. A parere del porporato, dobbiamo evitare la colonizzazione delle nuove generazioni con la dittatura del gender che alleva veri e propri transumani e nega le distinzioni della natura tra uomo e donna. Un inno alla famiglia nel senso tradizionale, quindi, quello invocato dalla Chiesa. In questo dibattito, si sono subito inserite voci riconducibili ad ambienti cosiddetti autorevoli che non perdono occasione per accreditarsi di una supposta modernità. È il caso della presidentessa della Camera, Laura Boldrini che, l’altro giorno, in nome di un femminismo d’assalto, ha lanciato il suo ultimo “j’accuse”. Secondo lei, sono diseducativi gli spot pubblicitari con donne ai fornelli: danno l’idea che fare le casalinghe abbruttisca, mentre i mariti se la godono, lavorando, e, magari, alla sera poltriscono pure sul divano. È vero, non esistono più le “arzdore”, gli angeli del focolare di una volta, ma, senza voler apparire un maschilista, mi sembra che certe dichiarazioni siano un po’ eccessive, anche perché i problemi delle donne restano drammaticamente reali, al di là dei fornelli. Che abbia ragione Pietrangelo Buttafuoco quando scrive che il libro della Boldrini sia un tipico esempio dell’avvilente condizione in cui è, oggi, ridotta buona parte dell’industria libraria? L’ultima carta sembrerebbe, infatti, quella di affidarsi ai non scrittori per infinocchiare i non lettori: il numero uno di Montecitorio ne sarebbe una lampante dimostrazione. [email protected]