L’ALTRA SERA ero a cena in un noto ristorante di Milano, che apprezzo particolarmente per via dei tortellini in brodo. Al tavolo vicino al mio, trovo Giovanni Toti, designato da Berlusconi come suo nuovo delfino in Forza Italia. Parliamo assieme pochissimo, ma l’impressione è ottima: mi è sembrato un giovane giornalista serio, piuttosto alla mano e davvero simpatico.

LA SUA VICENDA mi ha ricordato, in grande, quello che mi capitò, sia pure da semplice “peone”: anch’io venni cercato dal Cavaliere e, purtroppo, risposi pensando, ingenuamente, di fare qualcosa di positivo. Mi ritrovai, dopo qualche mese da deputato, solo, emarginato e messo da parte da tutte le vecchie cariatidi del partito. Lui, prima ancora di incominciare, ha già potuto constatare, dal fuoco amico che lo ha subito bombardato, a cosa va incontro in mezzo ai pescicani della politica. Avrei voluto suggerirgli di lasciare perdere, finché è ancora in tempo, di continuare a lavorare in televisione senza il rischio di finire stritolato dai soliti marpioni. Siccome Toti mi è piaciuto, vorrei evitargli la giornaliera e sporca guerra di trincea, come capitò al suo quasi omonimo Enrico Toti, l’eroe delle stampelle.
Poi, però, ho riflettuto: la politica ha bisogno di volti nuovi, pronti a sacrificarsi. Solo così sarà spazzata via la Casta che continua a prosperare per lasciare il posto a gente, forse, più coraggiosa, decisa a cambiare il Paese. E non gli ho detto più niente.
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